Nel 1550 Juan Ginés de Sepulveda descrisse gli indios del Nuovo Mondo come omuncoli privi di qualsiasi traccia di umanità, creati da Dio al solo fine di servire come schiavi i civilizzatori europei. Circa un paio di secoli dopo, George Washington giustificava il genocidio dei pellerossa paragonandoli a lupi da cacciare. In tempi molto più recenti, la propaganda nazista diffondeva vignette in cui gli ebrei venivano rappresentati come esseri deformi o veri e propri mostri. Oggi si imita il verso della scimmia per offendere le persone di colore.
Gli esempi che ho fatto sopra, benché distanti tra loro nel tempo e nello spazio, fanno parte tutti di un unico fenomeno, quello della deumanizzazione, di cui parla ampiamente la prof.ssa Chiara Volpato in un saggio del 2011 intitolato Deumanizzazione. Come si legittima la violenza.
Deumanizzare significa negare l'umanità dell'altro, singolo o gruppo, introducendo un'asimmetria tra chi gode delle qualità dell'umano, giudicate superiori, e chi ne è considerato privo o carente. Partendo dagli esempi storici citati sopra, occorre subito chiarire come la deumanizzazione non sia una conseguenza di fenomeni come la ghettizzazione, la persecuzione o la riduzione in schiavitù, ma ne sia causa o giustificazione; gli storici ritengono che la schiavizzazione dei neri africani in America precedette la diffusione del razzismo nei loro confronti, non la seguì. La deumanizzazione serve infatti ad escludere dei soggetti dalla razza umana, giustificando le nefandezze compiute nei loro confronti, è perciò funzionale agli interessi economici e politici dell'agente.
Leggendo il saggio della prof.ssa Volpato, si impara come esistano due tipi di deumanizzazione, una esplicita ed una sottile. La deumanizzazione esplicita si ha quando l'altro è accusato apertamente di essere carente o mancante di condizioni umane, quella sottile invece si insinua subdolamente nella nostra quotidiana percezione degli altri e ci convince che le emozioni unicamente umane siano proprie solo del nostro gruppo di appartenenza.
Nel saggio sono individuate cinque strategie di deumanizzazione esplicita: espulsione sociale (quando le vittime sono viste come violatrici di una o più norme sociali), caratterizzazione in tratti, uso di etichette politiche, confronto tra gruppi (si delegittima un gruppo facendo leva sulle differenze col gruppo cui appartiene l'agente), deumanizzazione (metafore o paragoni con animali, mezzi meccanici, virus e batteri, mostri, ecc.).
Per quanto concerne la deumanizzazione sottile, come esempio più comune possiamo richiamare l'ontologizzazione, cioè il fenomeno che ci porta a vedere più vicina al mondo animale che a quello umano una minoranza etnica non assimilata (non si denuncia apertamente la mancanza di umanità, ma a pelle si percepisce una differenza tra noi e loro).
C'è poi una forma particolare di deumanizzazione che è l'oggettivazione, cioè la percezione di un individuo come oggetto, merce o strumento. Il caso più comune ed evidente di oggettivazione è quella sessuale, nella quale l'individuo (spesso la donna) viene visto come strumento per il raggiungimento del piacere sessuale e non come persona. Una forma di oggettivazione è anche la schiavitù, perché lo schiavo è visto come strumento al servizio del padrone.
Nel saggio viene evidenziato come la deumanizzazione possa essere favorita dalla depersonalizzazione, cioè dal trattare i membri di un gruppo come una cosa unica, privandoli della propria singolarità. Questa considerazione, in apparenza banale, deve portarci a riflettere sull'opportunità delle categorizzazioni, di cui oggi si abusa. Quando si semplifica un fenomeno riducendo vittime e carnefici in categorie, si apre la strada alla deumanizzazione, rendendo così più facile l'esplosione di comportamenti violenti o comunque discriminatori nei loro confronti.
Nelle pagine del libro si evidenzia anche come il linguaggio possa facilitare l'uso della violenza, citando studi che correlano un maggiore uso di epiteti contro una certa categoria ad una maggiore frequenza di aggressioni violente nei loro confronti. Questo dovrebbe spingere chi esercita un'influenza, o comunque ha la possibilità di parlare ad un pubblico numeroso, a pesare bene le parole ed evitare l'uso di epiteti offensivi o di termini violenti.
Il saggio Deumanizzazione. Come si legittima la violenza della prof.ssa Volpato non rivela delle verità fino ad ora ignote, ha però il merito di spiegare in modo chiaro un fenomeno molto comune nelle dinamiche della nostra società ma ancora troppo sottovalutato. Ancora oggi parliamo con leggerezza di "clandestini", riassumendo in un'etichetta denigratoria una moltitudine di vicende umane, o usiamo con leggerezza epiteti denigratori (come non citare i "fottuti figli di Allah" di Oriana Fallaci), o deumanizziamo esseri umani di cui sappiamo poco. Queste che possono sembrare leggerezze possono aprire la strada ad eventi drammatici, la deumanizzazione ha permesso di giustificare Abu Ghraib e Guantanamo, permette a molti di giustificare il genocidio dei palestinesi (che per molti sono solo terroristi, o musulmani), consente di lasciare impunite mostruosità come le manganellate agli studenti (che per molti sono "comunisti", non persone con un'opinione e il diritto di manifestarla).
La deumanizzazione è un fenomeno ancora molto attuale, un'arma ancora molto usata dal potere per manipolare la nostra volontà, e solo conoscendola possiamo sfuggirle.
Il saggio ha il merito di essere molto semplice, leggibile da chiunque, pur se molto completo e rigoroso.
Francesco Abate
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