giovedì 23 marzo 2017

I BORBONE RECLAMANO IL TRONO DI NAPOLI


Il tema dell'Unità d'Italia è ancora oggi oggetto di studi e di dibattito. Come in tutte le questioni storiche spinose, però, al dibattito serio e documentato si aggiungono le farneticazioni di chi trasforma tutto in tifo da stadio ed arriva a creare realtà parallele pur di sentirsi dare ragione.
Questo articolo lo scrivo dopo aver letto su Facebook l'ennesimo post anti-Unità d'Italia in cui qualcuno, che nemmeno ha avuto la decenza di firmarsi, dichiara Garibaldi un conquistatore e non un liberatore. Viene in pratica riesumato il vecchio concetto secondo cui egli fu un soldato al servizio dei Savoia e non un rivoluzionario mosso da ideali unitari. Al di là delle opinioni che ci possono essere, mettere in dubbio il movente idealistico di Garibaldi è indice di scarsa conoscenza della storia. Prima di tutto chi ha scritto il post ha dimenticato che Garibaldi aveva già partecipato ad una rivoluzione in Uruguay (dove di certo non l'avevano mandato i Savoia) e che quindi aveva già manifestato la sua propensione a lottare a favore di coloro che lui riteneva oppressi. Oltretutto, quando si parla di Giuseppe Garibaldi, non si deve dimenticare che egli stesso si lamentò molto della repressione troppo dura che il Regno d'Italia attuò nel sud Italia, arrivando anche a dimettersi dal Parlamento e dichiarare che, se avesse saputo che il Regno avrebbe operato con tanta crudeltà, non avrebbe combattuto per l'unificazione. Al di là delle proprie opinioni sull'Unità d'Italia, criticare Garibaldi e i suoi moventi è segno di una conoscenza scarsa della storia.

Il post di cui parlo sopra non è comunque un fatto estemporaneo, da un po' di anni ormai stiamo assistendo al proliferare di teorie anti-Unità d'Italia. Molto forte il sentimento anti-unitario è nel sud del paese, dove sta addirittura affiorando un orgoglio borbonico e proliferano gruppi di revisionisti che cercano di convincerci che il Regno delle Due Sicilie fosse molto più avanzato del Regno d'Italia e i meridionali nel passaggio forzato ci abbiano solo perso. Per questi gruppi il fenomeno del brigantaggio fu in realtà resistenza, i briganti furono partigiani, i Borbone furono sovrani illuminati e i Savoia dei crudeli conquistatori. Non c'è sicuramente dubbio sul fatto che i Savoia vollero l'Unità d'Italia per un loro interesse economico e politico, è ovvio che un sovrano non agisce da patriota e non trascina il proprio regno in una lunga guerra solo per fare un favore a qualcuno. Con l'Unità d'Italia si garantirono il sostegno dei tanti patrioti favorevoli all'unificazione, rafforzando il proprio potere, ed ottennero nuovi territori su cui governare. Sulle altre teorie revisionistiche però, c'è a mio parere molto da ridire. 
Definire il brigantaggio come una forma di resistenza è a dir poco ridicolo. Prima di tutto il fenomeno del brigantaggio non nacque all'indomani dell'annessione del regno borbonico al Regno d'Italia, già da secoli le strade del regno non erano sicure a causa della presenza di briganti. I briganti inoltre non erano organizzati come un esercito e perlopiù si dedicavano a scorrerie e rapimenti a scopo di estorsione. Dopo l'unificazione colpirono principalmente sindaci e "galantuomini", loro concittadini che ricoprivano una carica in nome dei Savoia, ma senza mai ambire o compiere atti di alcuna valenza politica. Ci fu qualche occupazione di piccoli centri urbani, ma si trattò di casi isolati. Anche i richiami a Ferdinando II di Borbone "unico sovrano" erano dovuti principalmente alla presenza tra i briganti di ex militari borbonici, loro veramente colpiti dal cambio di sovrano.

Sfatato il mito del brigante-partigiano, andiamo ad analizzare un po' la situazione economica del regno borbonico subito prima dell'Unità d'Italia, cercando di capire se davvero sotto i Borbone i meridionali stessero meglio.
Al suo insediamento nel 1830, Ferdinando II di Borbone ereditò un deficit enorme. Egli decise di non aumentare la pressione fiscale per non inimicarsi il popolo, di fatto però scelse di bloccare definitivamente la spesa pubblica. Come conseguenza di questa scelta del sovrano, il regno divenne incapace di far rispettare le proprie leggi, di sviluppare le infrastrutture e di garantire servizi al cittadino.
Molto spesso i neo-borbonici si riempiono la bocca ricordando che il primo tratto ferroviario in Italia fu costruito dai Borbone. Questa cosa è vera, però lo sviluppo della rete ferroviaria si fermò praticamente lì. Subito prima dell'annessione al Regno d'Italia, nel Mezzogiorno vi erano 181 km di rete ferroviaria contro i 2520 km del resto d'Italia. La situazione era ben peggiore se parliamo di strade, visto che in tutto il regno ce n'erano 14.000 km, la metà di quelle presenti nella sola Lombardia, che era quattro volte più piccola. Nel sud della penisola le strade mancavano completamente in 1321 comuni su 1868 (non considerando la Sicilia), laddove c'erano non erano frutto dell'organizzazione e dell'azione statale, bensì erano state progettate e costruite da privati, col risultato che nelle zone più ricche c'era la rete stradale, in quelle più depresse si viaggiava a dorso di mulo.
Se la situazione della rete infrastrutturale era un disastro, non era migliore quella scolastica. Nel 1859 il Regno delle Due Sicilie contava appena 2010 scuole primarie, 67.428 allievi e 3171 maestri, su una popolazione di 9.000.000 di abitanti. Il tasso di analfabetismo era del 70-75%, mentre in Piemonte e in Lombardia il 90% dei bambini andava a scuola. La situazione lentamente cominciò a migliorare dopo l'Unità d'Italia perché valse anche per il sud la legge Casati del 1859, quindi il biennio elementare divenne obbligatorio. In realtà la strada da percorrere sarebbe stata ancora lunga perché la legge non prevedeva azioni legali nei confronti di chi sottraeva i bambini all'obbligo scolastico, quindi in molte famiglie i bambini venivano mandati subito a lavorare.
Un altro fatto da sottolineare quando si parla dello straordinario regno borbonico è l'epidemia di colera del 1836-37, in cui morirono circa 200.000 persone. L'epidemia fu infatti causata dalle condizioni igienico-sanitarie pessime, l'acqua di molti pozzi era contaminata e non veniva fatta rispettare la legge che imponeva la costruzione dei cimiteri fuori dai centri urbani. Mancavano inoltre impianti fognari.

Le considerazioni che ho riportato sopra vogliono solo essere un invito ad aprire la mente. La storia è materia affascinante, è giusto e bello farne oggetto di dibattito, bisogna però essere equilibrati e non distorcere i fatti per difendere degli slogan.
Trovo giusto che si analizzi a fondo il tema dell'Unità d'Italia e si cerchino di comprendere anche le ragioni di coloro che ad essa si opposero, è però assurdo vendere fumo per trasformare qualcuno in santo. Viviamo in un'epoca dove il revisionismo storico è di moda, esso però quasi mai si basa su fatti. Tutti vogliono insegnare, nessuno vuole studiare.
La vita per il Mezzogiorno sotto il Regno d'Italia prima e lo Stato italiano poi non fu (e non è tutt'ora) una festa, ma dire che si stava meglio sotto i Borbone mi sembra piuttosto azzardato. La realtà è che con il passaggio al Regno d'Italia il progresso ci fu, specialmente sul piano politico e sociale, mentre sotto altri aspetti il Regno fallì. Quando per ragioni di tifo (perché abbiamo bisogno di sentirci orgogliosi pur senza far niente per migliorare la merda in cui siamo immersi, è il nostro difetto principale) ci viene voglia di screditare il processo di unificazione d'Italia, dobbiamo essere umili e chiederci perché tanti intellettuali dell'epoca scelsero di patire o morire per portarlo avanti. Se davvero il Mezzogiorno sotto i Borbone se la passava bene, come qualcuno vuol farci credere, perché già prima di Garibaldi c'erano stati moti rivoluzionari contro i sovrani borbonici? E poi, se davvero il popolo avesse tanto amato i Borbone, Garibaldi con mille uomini sarebbe riuscito a portare a termine la sua impresa? Io credo che sia arrivato il momento di tacere, rileggere bene la storia e meditare tanto prima di riaprire la bocca.

Francesco Abate  

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