domenica 28 ottobre 2018

COMMENTO AL CANTO X DELLA "DIVINA COMMEDIA - PURGATORIO"

Poi fummo dentro al soglio de la porta
che 'l mal amor de l'anime disusa,
perché fa parer dritta la via tòrta,
sonando la senti' esser richiusa;
s s'io avesse li occhi vòlti ad essa,
qual fòra stata al fallo degna scusa?
Dante e Virgilio varcano la porta del Purgatorio, quella che molte anime non giungono a vedere perché portati sulla cattiva strada dalle loro passioni carnali ("mal amor"), e dal rumore capiscono che l'angelo l'ha richiusa. Il poeta è tentato di voltarsi a guardare, ma ricorda l'ammonimento fattogli dall'angelo nel canto precedente ("di fuor torna chi 'n dietro si guata") e rinuncia, chiedendosi come potrebbe mai giustificare una così grave mancanza. Camminano lungo un sentiero scavato nella roccia i cui lati sono irregolari, richiamando alla mente dell'autore il movimento dell'onda. Virgilio lo avverte che è importante muoversi con prudenza e assecondare le irregolarità del sentiero ("<< Qui si conviene usare un poco d'arte >>, / cominciò 'l duca mio, << in accostarsi / or quinci or quindi al lato che si parte. >>"). Il cammino dei poeti perciò rallenta, tanto che la luna, quasi nell'ultimo quarto ("lo scemo de la luna"), fa in tempo a tramontare prima che raggiungano lo spazio aperto. Dante è stanco, ha infatti ancora il corpo mortale e per questo accusa la stanchezza fisica, e come anche la sua guida è incerto sul cammino da seguire; sono lì, davanti vedono il monte allungarsi verso l'alto e diventare più stretto in cima, si trovano su uno spiazzo più solitario delle strade che attraversano i deserti. ("io stancato ed amedue incerti / di nostra via, restammo in su un piano / solingo più che strade per diserti"). La cornice su cui si trovano misura circa cinque metri ("misurrebbe in tre volte un corpo umano"), è perciò piuttosto stretta, e da un lato confina col vuoto mentre dall'altro con la parete del monte. Ancora non ha ripreso il cammino il poeta, quando si accorge che la parete interna del monte è fatta di marmo candido e intagliata con tale armonia delle proporzioni da far vergognare non solo Policleto (grande scultore dell'antica Grecia) ma la natura stessa. Nel marmo è scolpita l'immagine dell'Annunciazione, con l'angelo che porta la lieta novella ("venne in terra col decreto") che aprì all'umanità il cielo lungamente chiuso a causa del peccato originale. In ogni cornice del Purgatorio si troverà scolpita una scena della vita della Madonna, questo perché san Bonaventura, nello Speculum Beatae Virginis, trovò in Maria le virtù che si contrappongono a tutti i peccati capitali. In questa immagine la virtù mariana rappresentata è l'umiltà, la donna infatti accetta senza richieste né proteste di essere veicolo della volontà divina.  L'immagine dell'Annunciazione è scolpita con tanta grazia da non sembrare una rappresentazione, sembra vera ("dinanzi a noi pareva sì verace / quivi intagliato in un atto soave, / che non sembiava imagine che tace"). Vedendo quell'opera si giurerebbe di sentir pronunciare all'angelo << Ave! >> e di sentir rispondere Maria << Ecco la serva del Signore >>. 
Mentre Dante è perso nella contemplazione dell'Annunciazione, Virgilio gli consiglia di non fermarsi a guardare in un solo punto. Guarda a destra, dietro la figura di Maria, e si accorge che è scolpito un altro evento nella roccia, perciò supera la sua guida e si avvicina. La scena rappresentata è la danza di re David al trasporto dell'arca dell'alleanza a Gerusalemme, appena diventata nuova capitale d'Israele: i buoi trainano il carro con sopra l'arca, l'oggetto che fa temere di cimentarsi in un'impresa non concessa da Dio (è un riferimento alla morte istantanea di Oza, il quale sostenne l'arca per non farla cadere, e fu punito per essersi arrogato un compito riservato ai soli preti levitici); intorno all'arca sono raffigurati sette cori, così ben rappresentati da far credere a Dante di udirne davvero le voci e di sentire veramente il profumo dell'incenso; a precedere l'arca c'è David che danza al suono delle cetre, sembrando allo stesso tempo più e meno regale di un sovrano, mentre dal palazzo la moglie Micol lo guarda contrariata (secondo la tradizione biblica, Micol non voleva che David si vestisse umilmente al cospetto del popolo e dei servi, ma il re disse che solo rendendosi più vile di ciò che era agli occhi del Signore sarebbe apparso più glorioso alle ancelle e ai servi). 
Spostandoti, Dante scopre un'altra rappresentazione dietro la figura di Micol. La vicenda narrata questa volta riguarda l'imperatore Traiano e gli valse la salvezza eterna grazie alle preghiere del papa Gregorio. Traiano è a cavallo e una vedova piange ai suoi piedi, tutt'intorno è circondato da soldati in armatura e dai vessilli con le aquile dorate, perché è in partenza per una battaglia. La vedova implora l'imperatore di darle giustizia per un figlio che le è stato ucciso, lui le risponde di aspettare che torni dalla battaglia, ma lei ribatte chiedendo cosa accadrebbe se lui non tornasse. Traiano laconicamente le assicura che ci penserà chi sarà suo successore, ma lei gli chiede se lasciar compiere ad altri il proprio dovere conta quanto compierlo, così lui si convince e decide di soddisfare la sua richiesta prima di partire, perché la giustizia così vuole. Vedendo l'immagine, il poeta si convince che sia opera di Dio, sulla Terra infatti non c'è niente di simile. La leggenda della giustizia fatta all'umile vedova dall'imperatore Traiano in procinto di partire per la guerra non fu un'invenzione di Dante, era ben nota nel Medioevo. L'autore la cita insieme agli altri due episodi perché, come quelli, è un grande esempio di umiltà: l'imperatore piega la propria volontà alla giustizia, la quale gli è suggerita dalla pietà (la vedova). Questo episodio non solo è un fulgido esempio di umiltà, ma vale anche la salvezza per Traiano, infatti, nonostante fosse pagano, il papa san Gregorio pregò per la sua anima. Dante accolse tale tradizione, infatti ritroveremo l'imperatore nel cerchio di Giove in Paradiso. Comunque, come già detto prima, le sculture osservate dal poeta sono tutti esempi di umiltà, ciò perché siamo nel cerchio dei superbi e in ogni cerchio del Purgatorio ci sono immagini della virtù opposta al peccato che si sta scontando.
Mentre Dante è preso dall'osservazione di quegli esempi di umiltà scolpiti nel marmo, Virgilio mormora che sono in arrivo delle anime e auspica che possano indicargli la via verso la cima del monte. Il poeta volge gli occhi verso la sua guida rapidamente, attratto dalla prospettiva di vedere cose nuove. A questo punto una preoccupazione nasce nell'autore prima di descrivere le anime dei superbi, rassicura il lettore dicendogli di non lasciarsi impressionare dalla pena inflitta ai peccatori in cerca della purificazione, deve ricordare che queste nel peggiore dei casi non possono protrarsi oltre il giudizio universale, mentre all'Inferno sono eterne ("Non vo' però, lettor, che tu ti smaghi / di buon proponimento, per udire / come Dio vuol che 'l debito si paghi. / Non attender la forma del martire: / pensa la succession; pensa ch'al peggio / oltre la gran sentenza non può ire"). Vedendo le anime in quelle condizioni, il poeta si rivolge alla guida e confessa che non gli sembrano nemmeno persone, ma Virgilio gli spiega che sono rannicchiati a terra a causa del gran peso portato sulle spalle e si picchiano il petto in segno di pentimento. Visto lo spettacolo dei superbi schiacciati a terra dai massi, l'autore si lascia andare a un ammonimento nei confronti dei cristiani:
"O superbi cristian, miseri lassi,
che, de la vista de la mente infermi,
fidanza avete ne' retrosi passi,
non v'accorgete voi che noi siam vermi
nati a formar l'angelica farfalla,
che vola a la giustizia senza schermi?
Dì che l'animo vostro in alto galla,
poi siete quasi antomata in difetto,
sì come vermo in cui formazion falla?"
Il poeta chiede ai cristiani, che si fidano dei passi che li fanno retrocedere verso l'Inferno, se non si accorgono di essere solo vermi creati per formare la farfalla divina, cioè di essere nati solo per liberarsi del corpo e far parte della gloria di Dio. Chiede poi da cosa nasca la superbia se poi nell'aldilà sono insetti, vermi che non sono riusciti a diventare farfalla. Le anime dei superbi stanno con le ginocchia schiacciate al petto, come le figure usate per mensola a sostegno di solai o tetti, chi più e chi meno in base alla pesantezza del masso che porta sulle spalle, con quelli apparentemente più stanchi che sembrano dire di non riuscire più a continuare.

Francesco Abate      

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