giovedì 3 gennaio 2019

COMMENTO AL CANTO XV DELLA "DIVINA COMMEDIA - PURGATORIO"

Quanto tra l'ultimar de l'ora terza
e 'l principio del dì, par de la spera
che sempre a guisa di fanciullo scherza,
tanto pareva già inver' la sera
essere al sol del suo corso rimaso;
vespero là, e qui mezza notte era.
Il canto XV inizia con un'indicazione temporale. Nel cielo del Purgatorio il sole è all'altezza in cui si trova alla terza ora dopo l'alba, come un fanciullo sembra nascondersi dietro l'orizzonte e alzarsi giusto un po' per guardare e godersi il gioco. Mentre là è pomeriggio, in Italia è mezzanotte. Bisogna precisare che i fusi orari indicati dall'autore tengono conto della geografia terrestre così com'era nota ai suoi tempi, quindi i calcoli non sempre sono compatibili con la reale posizione del nostro paese, che i geografi di allora collocavano erroneamente a 45 gradi di longitudine occidentale da Gerusalemme. I raggi solari colpiscono in pieno il volto dei poeti, i quali hanno girato il monte da oriente a occidente e ora camminano verso ovest ("E i raggi ne ferien per mezzo 'l naso, / perché per noi girato era sì 'l monte, / che già dritti andavamo inver' l'occaso,"). D'un tratto Dante viene abbagliato da una specie di piccolo sole la cui luce lo costringe a ripararsi gli occhi con le mani. Riesce a ripararsi dalla luce del sole, ma non da questa nuova fonte luminosa, che gli sembra come la luce riflessa dall'acqua o da uno specchio. Subito il poeta chiede spiegazioni a Virgilio, il quale lo invita a non sorprendersi del fatto che ancora sia abbagliato in presenza di figure angeliche, gli fa quindi capire di essere in presenza di un angelo e gli spiega che è venuto per invitarli a salire. La guida rivela poi all'allievo che verrà un tempo in cui queste emanazioni di luce divina non feriranno più i suoi occhi, ma gli daranno piacere. Il cammino dantesco è infatti un viaggio dalle tenebre fino alla luce suprema, quella dell'Empireo, e se ora la natura umana fatica a cogliere la luce delle cose divine, nel Paradiso riuscirà a coglierle in tutto il loro splendore. Arrivati vicino all'angelo, questi con voce piena di letizia li invita a entrare, salgono una scala meno ripida di quella affrontata in precedenza e dietro sentono cantare << Beati misericordes! >> e << Godi tu che vinci! >>. I canti in questione salutano gli invidiosi che ascendono alla cornice successiva, per questo citano la misericordia, che è sempre associata nel Vangelo alle opere di bene fatte ad altri e per questo è l'esatto opposto dell'invidia. 
Mentre salgono verso la cornice successiva, a Dante tornano in mente le parole di Guido del Duca e chiede a Virgilio cosa intendesse dire costui quando ha parlato di beni il cui possesso esclude la condivisione. La guida gli spiega che, essendo Guido un invidioso, conosce bene il proprio peccato e per questo non deve sorprendere che se ne penta così da alleviare la propria pena. L'invidia, spiega il poeta mantovano, nasce perché l'essere umano desidera cose di cui può goder meno se le posseggono più persone; se l'amore degli uomini si rivolgesse alle cose divine, non esisterebbe l'invidia perché ciascuno gioirebbe anche della felicità altrui. La spiegazione non soddisfa Dante, il quale manifesta la propria insoddisfazione a Virgilio e gli chiede come possa un bene essere maggiormente goduto se diviso tra più persone. La guida gli spiega che non può capire finché ragiona pensando ai beni materiali; l'amore divino è infinito e corre tra le anime come un raggio di luce che si riflette su superfici lucenti, Dio concede maggiore o minore gioia in base all'ardore che trova nell'anima ricevente e accresce il suo amore in base al numero di anime pronte a riceverlo. Consapevole di quanto possa essere complesso il discorso sia per il suo allievo, ancora legato alle cose terrene, sia per sé stesso, lontano dal pieno godimento dell'eterna beatitudine, Virgilio anticipa che Beatrice gli spiegherà tutto più chiaramente e lo esorta a completare il prima possibile il suo passaggio nel Purgatorio così da liberarsi delle cinque P ancora incise sulla sua fronte ("<< ... Però che tu rificchi / la mente pur a le cose terrene, / di vera luce tenebre dispicchi. / Quello infinito ed ineffabil bene / che là sù è, così corre ad amore / com'a lucido corpo raggio vène. / Tanto si dà quanto trova d'ardore; / sì che, quantunque carità si stende, / cresce sovr' essa l'etterno valore. / E quanta gente più la sù s'intende, / più v'è da bene amare, e più vi s'ama, / e come specchio l'uno a l'altro rende / ... >>").
Giunti alla terza cornice, Dante è rapito in una visione estatica. Vede delle persone nel tempio di Gerusalemme dove una madre (la Vergine Maria) entra e dolcemente si rivolge al figlio (Gesù) chiedendogli perché si sia allontanato dai genitori, spaventandoli tanto. L'episodio è citato nel Vangelo e racconta appunto dell'allontanamento di Gesù, che rimase nel tempio a parlare coi sacerdoti finché non sopraggiunse la madre che gli rivolse le parole sopra citate, non espressioni di rimprovero ma di preoccupazione. La visione sparisce, lasciando il posto a un'altra. Vede una donna in lacrime rivolgersi al marito e chiedergli di vendicare l'offesa subita dalla figlia, abbracciata in pubblico, così da mostrare di essere degno capo della città che gli dèi si disputano; l'uomo mantiene la calma e le risponde chiedendole cosa dovrebbero fare a chi li odia se condannano chi li ama. In questa seconda visione viene citato l'episodio di Pisistrato e la città in questione è Atene, disputata dagli dèi perché Poseidone e Atena si contendevano il diritto di chiamarla col proprio nome. La terza visione gli mostra un giovane sul punto di essere lapidato che alza gli occhi al cielo e chiede a Dio di perdonare i suoi persecutori. Si tratta in questo caso di Santo Stefano, il primo martire riconosciuto dalla Chiesa. Le tre visioni sono esempi di mansuetudine, siamo nella cornice dove sono puniti gli iracondi. Stavolta gli esempi non sono né scolpiti sulla roccia né urlati nell'aria, ma affiorano direttamente nel cuore del poeta.
Dante si riprende dall'estasi e si rende conto di aver avuto una visione. Virgilio, notando il ritorno in sé del suo protetto, gli chiede cosa abbia. Il poeta gli vuole raccontare cosa ha visto, ma il maestro gli ricorda che lui sa sempre cosa pensa e gli spiega che ciò che ha visto serve a fargli aprire il cuore alle acque della pace che fluiscono dalla fonte eterna, gli dice infine che il suo "che hai?" serviva solo a spronarlo affinché accelerasse il passo. I pellegrini camminano nella luce del pomeriggio, lentamente una nube di fumo si addensa intorno a loro rendendogli impossibile vedere e appesantendogli la respirazione.

Francesco Abate

P.S. - essendo questo il primo post del 2019, ne approfitto per augurarvi un anno pieno di felicità e ottime letture. 

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