lunedì 13 gennaio 2020

COMMENTO AL CANTO XXV DELLA "DIVINA COMMEDIA - PARADISO"

Se mai continga che 'l poema sacro
al quale ha posto mano e cielo e terra,
sì che m'ha fatto per più anni macro,
vinca la crudeltà che fuor mi serra
del bello ovile ov' io dormi' agnello,
nimico ai lupi che li danno guerra
Il canto XXV si apre con una speranza espressa da Dante, quella che il riconoscimento ricevuto da san Pietro nel canto XXIV gli serva per essere riaccolto a Firenze, dove è nato ed è cresciuto (bello ovile ov' io dormi' agnello), e dove ha combattuto quelli che sono nemici suoi e della stessa città (nimico ai lupi che li danno guerra); in questi versi il poeta ci tiene a specificare di non essere lui, l'esiliato, il nemico di Firenze, ma lo sono quelli contro cui ha combattuto e che hanno causato la sua condanna. Riferendosi al poema, che definisce sacro, Dante ci dice che è stato scritto sotto l'influsso delle cose fisiche (la terra) e delle cose spirituali (il cielo), quindi è frutto della saggezza umana e di quella divina, e racconta che questo lavoro durato anni l'ha logorato nel fisico (sì che m'ha fatto per più anni macro). Egli tornerà, scrive, con altra voce e con altro vello; per alcuni queste espressioni indicano il suo invecchiamento fisico, per altri invece segnalano la mutazione artistica di Dante, che ha abbandonato le rime d'amore per dedicarsi a quelle sacre della Commedia. Qualora lo lasciassero tornare a Firenze, tornerebbe con la fama di poeta e immagina che sarebbe incoronato nel battistero di S.Giovanni, da dove entrò in quella fede (fu battezzato) che rende le anime familiari a Dio e grazie alla quale san Pietro gli girò intorno alla fronte, incoronandolo ("con altra voce omai, con altro vello / ritornerò poeta, e in sul fonte / del mio battesmo prenderò 'l cappello; / però che ne la fede, che fa conte / l'anime a Dio, quivi intra' io, e poi / Pietro per lei sì mi girò la fronte").
Un'altra luce si avvicina a Dante dalla schiera da cui prima era uscito san Pietro (di quella spera ond'uscì la primizia che lasciò Cristo de' vicari soi) e Beatrice lo invita a guardare il santo (nel testo è usato il termine barone, titolo feudale attribuito appunto ai santi) per cui si fanno i pellegrinaggi in Galizia (il sepolcro di san Giacomo è a Santiago di Compostela, capoluogo della Galizia). Il santo in questione è san Giacomo il Maggiore, fratello di san Giovanni evangelista e uno degli apostoli prediletti di Gesù. Il poeta assiste a una scena che gli porta alla mente il colombo: così come l'uccello vola accanto a un compagno, e i due si mostrano l'affetto reciproco tubando, il santo si avvicina a san Pietro e i due si accolgono l'un l'altro e lodano la beatitudine che li nutre lassù (il cibo che là su li prande). Terminata la festosa reciproca accoglienza, i due santi si mettono davanti a Dante (coram me) e la loro luce splende tanto da vincere il suo sguardo.
Beatrice, ridendo, si rivolge al nuovo arrivato chiamandolo "anima illustre" (Inclita vita), che con la sua Epistola ha insegnato quanto sia liberale il Paradiso (la nostra basilica), e gli chiede di parlare con Dante della speranza, poiché lui può farlo visto che la rappresenta, così come si legge in quei passi del Vangelo in cui Gesù mostra apertamente la sua predilezione per lui. La richiesta di Beatrice è motivata dal fatto che, secondo la tradizione evangelica, i tre apostoli prediletti da Gesù (san Pietro, san Giacomo il Maggiore e san Giovanni evangelista) rappresentano rispettivamente la fede, la speranza e la carità. L'Epistola a cui Beatrice fa riferimento era attribuita all'epoca a San Giacomo il Maggiore, ma in realtà fu scritta da san Giacomo il Minore, un altro apostolo.
San Giacomo (il foco secondo) invita Dante ad alzare lo sguardo, perché ciò che lì viene dal mondo dei mortali è giusto che maturi alla loro luce. Il poeta alza gli occhi verso gli apostoli, che con la loro luce accecante prima l'avevano indotto ad abbassarli; riferendosi agli apostoli, Dante li indica come monti, attingendo in questo caso alla tradizione dei Salmi. Il santo, poiché egli è stato ammesso per grazia di Dio ad accedere alla Sua corte e al cospetto dei suoi conti (il Paradiso e i beati sono evocati con le immagini della corte medievale, com'era tradizione all'epoca) prima di morire, ed ha veduto la verità di quello che si crede nel mondo, gli chiede di dirgli cos'è la speranza, in quale grado la possiede e da dove gli è venuta; gli pone questa domanda affinché possa concedere il conforto della stessa speranza, virtù che fa innamorare del vero bene, a sé stesso e agli altri uomini.
Prima che il poeta risponda, lo fa per lui Beatrice, colei che ha guidato le sue ali in un volo così alto, la quale afferma che nessun figlio della Chiesa militante possiede più speranza di lui, come si legge nella mente divina che illumina tutti i beati (nel Sol che raggia tutto nostro stuolo), perciò gli è stato concesso di venire dall'Egitto (simbolo della vita terrena e della schiavitù) a Gerusalemme (simbolo della beatitudine e della libertà) prima che il suo servizio nella milizia di Dio sia finito (prima della morte). Data la risposta, Beatrice lascia che sia il suo discepolo a rispondere alle altre due domande, che non vengono fatte da san Giacomo per sapere, dato che in Dio lui vede tutto, ma perché possa riferire al mondo quanto questa virtù gli piaccia; chiude poi dicendo che per lui non sarà difficile rispondere alle domande e nemmeno queste gli daranno occasione di essere presuntuoso, invocando infine la grazia di Dio affinché gli consenta di rispondere adeguatamente. La risposta di Beatrice non è da intendersi come un soccorso dato a un allievo in difficoltà, lei semplicemente evidenzia un'ovvietà e da questa parte per fare un discorso più ampio: Dante ha la fede, l'ha dimostrato a san Pietro, quindi deve avere per forza la speranza; con la metafora dell'Egitto e di Gerusalemme, Beatrice ci dice che la speranza è il ponte per passare dalla schiavitù alla libertà, dal mondo umano a quello dei beati. 
Terminata la risposta di Beatrice, Dante risponde alle altre due domande, come un allievo che risponde al docente con prontezza e buona volontà (libente, dal latino libenter) in quelle cose di cui è più esperto e in cui si manifesta il suo valore. La speranza, spiega, è attendere senza dubbi la beatitudine celeste, la quale è prodotta dalla grazia divina e dai meriti in vita; a lui essa è arrivata dagli autori dei libri della Bibbia (Da molte stelle), ma colui che per primo la distillò nel suo cuore fu il sommo cantore di Dio, cioè David. Nel suo canto in onore di Dio, spiega ancora il poeta, David dice che nel Signore sperano coloro che ne conoscono il nome; con la fede che lui possiede è impossibile non conoscere il nome Suo (e chi nol sa, s'elli ha la fede mia?). Oltre a David, conclude, anche lo stesso san Giacomo con la sua Epistola ha istillato nella sua anima la luce della speranza, così adesso lui ne è pieno e la istilla negli altri (la stessa Commedia, con la visione della futura beatitudine, è un'opera che dà speranza). 
Mentre Dante risponde, vede apparire improvvisi bagliori dentro la luce di san Giacomo (dentro al vivo seno di quello incendio tremolava un lampo subito e spesso a guisa di baleno). Il santo spiega che l'amore di cui arde per la speranza, virtù che lo seguì fino al trionfo (la palma) e al martirio (l'uscir del campo), vuole che ne parli ancora con lui che dimostra di amarla, e gli chiede cosa questa virtù gli promette. Da notare che, nonostante san Giacomo affermi di amare ancora la speranza, dice che questa lo accompagnò fino al martirio e al trionfo, quindi fino alla fine della sua vita terrena; fede e speranza non possono essere possedute dal beato perché egli ha la visione certa di Dio, quindi non ha più bisogno di credere perché sa, e non ha più bisogno di sperare perché ha; solo la carità permane anche nei beati, perché Dio è carità e questa non avrà mai fine (lo scrisse san Paolo nella prima lettera ai Corinzi). 
Dante risponde che sia il Nuovo Testamento che l'Antico (Le nove e le scritture antiche) indicano il segno, e questo a lui mostra il fine, delle anime vissute nella grazia di Dio. Cita poi Isaia, secondo cui le anime nella loro terra indosseranno la doppia veste della felicità dell'anima e del corpo, e la loro vera terra è il Paradiso (questa dolce vita). Chiude dicendo che il fratello di san Giacomo, san Giovanni evangelista, manifesta questa verità ancor più chiaramente (più digesta) quando nell'Apocalisse descrive la schiera degli eletti ricoperti di vesti bianche.
Subito dopo la risposta di Dante, sopra di loro si sente dire da qualcuno "Sperent in te" ("Sperano in te", versetto del salmo citato prima) e i beati danzanti rispondere in coro. Tra queste luci una si fa così intensa che, ci dice l'autore, se la costellazione del Cancro avesse una stella così luminosa, l'inverno avrebbe un giorno della durata di un mese (non calerebbe mai la notte fino al tramonto della costellazione). Questo nuovo splendore si unisce ai due già presenti, san Pietro e san Giacomo, come l'adolescente che si unisce al ballo solo per onorare la nuova sposa (la novizia) e non per compiacere sé stessa (non per alcun fallo); insieme ballano e cantano come si conviene all'ardore della loro carità, mentre Beatrice li guarda fissi come una sposa silenziosa e immobile. La donna spiega a Dante che il nuovo arrivato, san Giovanni evangelista, è colui che riposò sul petto di Gesù (nostro pellicano - Gesù era identificato col pellicano perché c'era la credenza che questo uccello si lacerasse il petto per nutrire i figli del proprio sangue) e che il giorno della crocifissione fu scelto per un grande compito (Gesù lo designò come nuovo figlio di Maria); mentre parla, la donna non distoglie mai lo sguardo dai tre apostoli danzanti.
Dante fa come colui che prova a guardare l'eclissi parziale di sole, finendo per perdere la vista, e si sforza di fissare la luce di san Giovanni, mentre questi lo rimprovera chiedendogli perché mai si sforzi di guardare qualcosa che lì non c'è. Il santo gli spiega che il suo corpo è sulla Terra a decomporsi, e lì resterà con gli altri finché non sarà raggiunto il numero di beati stabilito da Dio (che 'l numero nostro con l'etterno proposito s'agguagli); chiude il discorso dicendo che solo le due anime salite prima nell'Empireo, cioè Gesù e Maria, sono state ammesse nel Paradiso sia con l'anima che con il corpo, e dice a Dante che questo dovrà dire nel suo mondo. La curiosità di Dante serve a introdurre un chiarimento su una disputa cristiana dei tempi antichi, alcuni infatti credevano che san Giovanni non fosse morto, ma il poeta prende posizione dichiarando che solo Maria e Gesù sono saliti al cielo coi corpi, quindi rinnegando non solo l'assunzione dell'apostolo, ma anche quella dei profeti Enoc ed Elia.
La danza delle tre luci (infiammato giro) si ferma non appena san Giovanni inizia a parlare, così come il loro canto (suon del trino spiro), allo stesso modo in cui al fischio del timoniere i rematori posano i remi con cui avevano percosso l'acqua, per riposarsi o evitare un pericolo. Dante si gira verso Beatrice ma, pur standole vicina, non riesce a vederla a causa dell'accecamento provocato dalla luce di san Giovanni: pur essendole vicino e pur trovandosi nel mondo della beatitudine eterna, non vedendola prova turbamento (Ahi quanto ne la mente mi commossi).

Francesco Abate

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