lunedì 3 febbraio 2020

COMMENTO AL CANTO XXVII DELLA "DIVINA COMMEDIA - PARADISO"

"<<Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo>>,
cominciò, <<gloria!>>, tutto il paradiso,
sì che m'inebriava il dolce canto.
Il canto XXVII inizia con le anime dei beati che lodano la Trinità. Quel dolce canto a Dante sembra una rivelazione di gioia dell'intero universo e la sensazione di piena soddisfazione entra in lui attraverso l'udito e la vista (lo viso). L'autore a questo punto si lascia andare a una serie di esclamazioni che accentuano il suo stato di beatitudine e loda prima l'allegria impossibile da descrivere (ineffabile allegrezza), poi la vita perfetta (integra) fatta di pace e amore, infine la ricchezza sicura generata dal possesso di Dio e per questo priva di desiderio (sanza brama). 
Davanti al poeta stanno le quattro luci (san Pietro, san Giacomo, san Giovanni e Adamo) e quella di san Pietro, la prima che si era manifestata, diventa più intensa e passa dal bianco al rosso vivo. Per descrivere questa scena, l'autore immagina l'argenteo Giove e il rosso Marte come due uccelli che si scambiano le penne: la mutazione di san Pietro è paragonabile a quella che subirebbe in tal caso Giove ("e tal ne la sembianza sua divenne, / qual diverrebbe Giove, s'elli e Marte / fossero augelli e cambiassersi penne"). 
La Provvidenza, che nel cielo assegna a ciascuno il proprio compito (che quivi comparte vice ed officio), fa scendere il silenzio nel coro dei beati, così che Dante possa udire le parole di san Pietro. Il santo lo invita a non meravigliarsi del suo cambio di colore perché, una volta che avrà fatto la sua invettiva, anche gli altri beati lo cambieranno; ciò detto, parla di colui che ha usurpato la sua carica di capo della Chiesa (si riferisce a Bonifacio VIII, che fu accusato di aver comprato la carica e per questo Dante lo colloca all'Inferno tra i simoniaci), istituzione a cui ora manca la presenza di Gesù Cristo, e ha reso il Vaticano (cimitero mio) una fogna dove si raccolgono il sangue e il fetore, rendendo soddisfatto Lucifero ('l perverso che cadde di qua su). Circa l'invettiva di san Pietro vanno fatte alcune considerazioni. Alcuni critici non credono che Dante accolse come veritiere le accuse circa l'elezione illegittima di Bonifacio VIII, convinti che usando il termine usurpa volesse semplicemente indicarlo come indegno della carica, ma non dobbiamo dimenticare che nell'Inferno Bonifacio VIII è atteso tra i simoniaci, e che si parla di lui nel canto XIX come di colui che prese la bella donna (la Chiesa) con l'inganno; se in questi versi c'è una posizione non netta, nell'Inferno la collocazione credo che chiarisca l'idea del poeta sulla legittimità di Bonifacio VIII. C'è poi da sottolineare come nelle parole di san Pietro, oltre che all'usurpazione della carica, ci sia un riferimento alle guerre (sangue) e alla corruzione (puzza). Non è poi marginale il fatto che l'invettiva del santo sia stata introdotta da un silenzio imposto dalla Provvidenza, come l'autore ci tiene a sottolineare nel verso 16, a significare come l'accusa sia il frutto della diretta volontà di Dio.
Come san Pietro aveva anticipato, tutte le anime cambiano in rosso il colore della luce, richiamando alla mente del poeta le nubi che all'alba e al tramonto, colpite dai raggi del sole, diventano di colore rosso porpora. Beatrice fa come la donna retta, la quale resta ferma nella sua rettitudine ma si imbarazza ascoltando i peccati altrui; anche lei cambia sembianza (questi versi fanno pensare che anche la sua luce diventa rossa, come chi arrossisce di vergogna, ma altri critici ritengono che impallidisca). L'eclissi del cielo dev'essere la stessa, immagina Dante, che ci fu quando morì Gesù. 
Ricomincia a parlare san Pietro, con una voce tanto sdegnata da non richiedere più alcuna variazione della luce (la voce esprime lo stato d'animo perfettamente). Dice che la sposa di Cristo (la Chiesa) non fu costruita col sangue suo e dei suoi successori (Lino e Anacleto furono i due pontefici che lo succedettero e furono entrambi martiri) per essere usata al fine di ottenere ricchezze; cita poi altri papi (Sisto, Pio, Callisto e Urbano), dicendo che subirono il martirio per giungere all'eterna beatitudine. La loro intenzione, continua, non era dividere il popolo cristiano per fazioni politiche, nemmeno che le chiavi segno dell'autorità apostolica diventassero simbolo su un vessillo usato nella guerra contro altri cristiani (nel 1229 Gregorio IX introdusse le chiavi sulla bandiera dell'esercito pontificio durante la guerra contro Federico II), e nemmeno che la sua immagine fosse usata come sigillo per l'attribuzione di privilegi falsi e corrotti che causano la sua vergogna e il suo sdegno. Il discorso continua col santo che lamenta come i pastori siano diventati lupi che occupano tutti i pascoli (riferimento agli uffici ecclesiastici), poi invoca il soccorso (difesa) di Dio e chiede perché ancora non interviene. Cita poi papa Giovanni XXII (Caorsini, perché nativo di Cahors) e Clemente V (Guaschi, perché guascone), i quali si apprestano a bere il sangue dei primi martiri (a nutrirsi dei privilegi acquisiti illecitamente con la carica), e con un'esclamazione si lamenta del fine vile per cui viene usata la Chiesa. Il suo discorso lo termina con una profezia: la Provvidenza divina, che fece vincere Scipione a Zama e consegnò all'impero romano la gloria, interverrà presto. Fatto il suo discorso, esorta Dante a rivelare tutto ciò che ha detto una volta tornato sulla Terra. 
Dante vede le anime muoversi verso l'alto come i fiocchi di neve cadono verso il basso quando il sole è in congiunzione con la costellazione del Capricorno (il corno de la capra del ciel). Segue l'ascesa delle anime con lo sguardo finché il troppo spazio ('l mezzo, dal latino medium) che si frappone tra lui e loro non li fa sparire dalla sua vista. Beatrice, che lo vede intento a guardare in alto, lo invita a guardare in basso e notare il giro che ha compiuto nel cielo. Lui guarda e si accorge che dalla prima volta in cui aveva guardato ha compiuto un arco di novanta gradi (i' vidi mosso me per tutto l'arco che fa dal mezzo al fine il primo clima - per gli antichi l'emisfero si divideva in sette climi), così adesso vede lo stretto oltre Cadice (Gade, si riferisce allo stretto di Gibilterra) che Ulisse scelse follemente di varcare, mentre dall'altro lato vede le spiagge dove Giove, trasformato in toro, fu cavalcato da Europa (la Fenicia). Potrebbe vedere anche di più, ma il sole dista da lui più di un segno zodiacale e le altre regioni sono in ombra; Dante si trova nella costellazione dei Gemelli, il sole nell'Ariete, quindi tra loro c'è l'intero Toro e parte dell'Ariete. 
La mente di Dante, che vagheggia sempre Beatrice, desidera ardentemente di riportare gli occhi su di lei; quando lui asseconda questo desiderio, si accorge che lo splendore della donna fa sembrare niente tutte le opere della natura espresse nei corpi umani e nella pittura, che seducono gli occhi e la mente. La virtù che lo sguardo della donna fa nascere in lui, lo stacca dalla costellazione dei Gemelli (bel nido di Leda - secondo la tradizione Castore e Polluce, che danno il nome alle principali stelle della costellazione, nacquero da un uovo generato da Leda dopo un rapporto con Zeus mutato in cigno) e lo eleva fino al cielo superiore, quello del Primo Mobile. Le parti vivissime ed eccelse di questo cielo sono così uniformi da non fargli capire da quale punto Beatrice l'abbia fatto accedere. Lei sente il desiderio di sapere del suo protetto e comincia a spiegare, illuminandosi di un sorriso così lieto da far sembrare che Dio in esso gioisse. 
Beatrice inizia spiegando il funzionamento di questo nono cielo: la natura della Terra, che sta immobile al centro dell'universo mentre intorno tutto gira, è regolata da leggi è strutture che qui cominciano; questo cielo non è situato in alcun luogo, non è circoscritto da nient'altro, è circondato solo dall'Empireo da cui hanno origine l'amore che lo muove e la virtù che irradia agli altri cieli. L'Empireo, spiega poi, comprende come in un cerchio il cielo cristallino così come quest'ultimo comprende gli altri cieli, e la sua natura è nota solo a Dio. Il moto del Primo Mobile, aggiunge Beatrice, non è misurato dai cieli inferiori, ma i moti degli altri cieli a questo sono commisurati, come il dieci col cinque e col due. Ormai a Dante può essere chiaro, dichiara, come il tempo tenga nel Primo Mobile le radici e nei cieli inferiori le foglie. 
Data la spiegazione circa la natura del Primo Mobile, Beatrice si lamenta della cupidigia umana, che fa sprofondare così tanto i mortali da rendergli impossibile la vista della legge celeste. Non è che non fiorisca negli uomini la virtù, dichiara ancora, ma la continua pioggia (le tentazioni) trasformano le susine in bozzacchioni (susine deformate e vuote). Fede e innocenza si trovano solo nei pargoli, che l'hanno ricevuta col battesimo, ma vengono perse prima dell'età adulta, quando le guance si coprono con la barba. Passa poi a esprimersi con metafore: molti, ancora pargoli balbettanti, digiunano, per poi divorare avidamente qualunque cibo in qualunque parte dell'anno (anche in quaresima) non appena hanno la parlata sciolta; molti da piccoli amano la madre e l'ascoltano, poi crescono e desiderano di vederla morta (tanta è la corruzione da far dimenticare perfino l'amore materno). Così, commenta Beatrice, la pelle che è bianca all'alba diventa nera al tramonto (chi nasce puro muore corrotto); circa la metafora espressa nella terzina 136-138 le interpretazioni sono tantissime e piuttosto varie, specialmente tante sono le interpretazioni circa la natura de la bella figlia. Beatrice dice poi a Dante che non deve meravigliarsi del fatto che la natura umana si corrompa in modo tanto grave, è una logica conseguenza della mancanza di una guida. Conclude il suo discorso con una profezia: prima che gennaio finisca tutto fuori dall'inverno per via della parte centesimale del giorno trascurata nel calcolo dell'anno, questi cieli irradieranno i loro influssi benefici e genereranno la tanto attesa fortuna, che cambierà la rotta del genere umano (per alcuni critici della sola Europa cristiana), e il fiore tornerà a produrre il vero frutto (viene ripresa la metafora della susina). Per spiegare al meglio la profezia di Beatrice, è necessario spiegare perché viene immaginato che gennaio uscirà fuori dall'inverno. Ai tempi di Dante l'anno era misurato ancora con calendario giuliano, durava perciò 365 giorni e 6 ore, e ogni anno veniva allungato di 12 minuti: Dante calcolò che, continuando ad addizionare i 12 minuti ogni anno, nel giro di una novantina di secoli gennaio sarebbe diventato il mese d'inizio della primavera. Tale imprecisione fu poi corretta con l'avvento del calendario gregoriano, introdotto da Gregorio XIII nel 1582. La profezia perciò inizia con Beatrice che, per dire che non c'è da aspettare molto prima che la fortuna giri, dice che succederà prima dello spostamento di gennaio in primavera.

Francesco Abate 

5 commenti:

  1. Buongiorno Francesco, sono Nicholas il compagno di Lucrezia.
    Oggi è impegnata, ma mi ha cortesemente chiesto di salutarla e di ringraziarla per i bei post che le regala sempre.
    Buona giornata!

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    1. Salve Nicholas.
      Ringrazi Lucrezia da parte mia, sono felice che i miei post siano di suo gradimento.
      Buona serata.

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  2. Se ricordo bene questo è stato uno dei Canti più significativi per la Chiesa in quanto Dante voleva ripulirila simbolicamente dai mali che l'affliggevano e spronare i lettori a ricercarne la purezza.
    Baci!

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    1. Sì, hai centrato la questione.
      Infatti la reazione di San Pietro è perfetta, dà proprio l'idea dell'indignazione del vero credente.

      Francesco, grazie per la bella analisi!

      Abbraccio a tutti e due.

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    2. Questo canto non mostra solo la reazione del vero credente, come opportunamente segnala Francesca, ma è un'accusa alla Chiesa lanciata da Dio stesso; i santi, lo stesso fondatore san Pietro, spinti dalla Provvidenza, prendono una posizione netta contro la corruzione e contro i papi di allora.
      Non è più l'uomo a ribellarsi all'istituzione, è lo stesso dogma che rivela la diversità della propria essenza da quella di chi dovrebbe rappresentarlo.
      Scrivendo quest'accusa così forte, Dante sicuramente sperava di smuovere la politica e spingerla a riportare la Chiesa alla sua purezza, ma credo sperasse anche in una presa di coscienza collettiva del popolo cristiano.
      Si assunse una grande responsabilità e credo che svolse magnificamente il suo compito.

      Grazie per le vostre osservazioni e i vostri commenti.
      Baci a entrambe.

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