Giovanni Pascoli è un poeta al quale sono affezionato in modo particolare, senza timore di esagerare posso dire che se oggi leggo e scrivo poesie è grazie a lui. La prima poesia di cui mi sono innamorato, quando da ragazzo ancora giudicavo di poco conto i letterati italiani e volgevo il mio interesse alla letteratura distopica inglese, è il X Agosto, che ritengo ancora oggi uno dei più grandi capolavori letterari di sempre. Il X Agosto mi ha mostrato per la prima volta come uno sguardo profondo e triste sulla crudeltà della vita possa scuotere le corde dell'anima fino a mutare il corso di un'esistenza; forse per la prima volta ho sperimentato appieno il potere della poesia.
Pascoli si contrappose in vita alla megalomania che dilagava in Italia, all'Estetismo dannunziano che promuoveva la vita grandiosa fatta di piaceri e gesta eroiche rispose con la semplicità delle piccole cose, dimostrando come il semplice canto di un uccellino potesse spiegare almeno in parte il significato profondo dell'esistenza umana.
Il poeta nelle sue opere migliori, che a mio modo di vedere (e non solo mio) sono Myricae, i Poemetti e i Canti di Castelvecchio, prende le immagini più comuni della natura e della vita contadina per contrapporle al caos e all'ipocrisia della vita borghese. Il suo linguaggio in queste opere ha tratti innovativi, la scelta delle parole si concentra più sul suono che sul significato, rendendo le sue poesie più simili a canti d'uccelli che non a discorsi umani. La bellezza delle immagini evocate e dei suoni riprodotti nasconde però uno sguardo profondo e triste, ricorre con frequenza il tema della morte e della disperazione, la frugale vita contadina è illuminata sempre da una luce triste e spesso il canto degli uccelli è una sinfonia funebre. La descrizione degli elementi naturali nella poesia pascoliana è precisa, eredità della sua precedente adesione al Positivismo, ma il suo sguardo non è quello dello scienziato che vuole conoscere, è piuttosto quello del fanciullino che guarda ad ogni cosa con stupore e riesce a cogliere più la sostanza che la superficie delle cose. Anche lo sguardo che getta sul mondo è più vicino al mondo dei fanciulli che a quello degli adulti, egli infatti vede il dolore del mondo e sente di essere una vittima (gravi sono i lutti che funestano la sua esistenza) ma non cerca vendetta, vuole solo che gli uomini costruiscano un nuovo mondo di fratellanza.
Nei Poemi conviviali Pascoli tenta di comprendere nella propria poetica il mondo antico greco e cristiano, caricandoli delle angosce della modernità, ma questa svolta a mio parere lo priva della semplicità che esalta la riflessione sulla vita umana nelle raccolte che ho citato sopra. Certo Pascoli non può rinunciare alla sperimentazione, lui in fondo non scrive per uno scopo e la poesia assume il suo valore moraleggiante ed educativo spontaneamente, traendolo proprio dalla sua origine fine a sé stessa, ma nel momento in cui volge il proprio sguardo dalle semplici case dei contadini alle epiche esistenze di eroi antichi perde parte della propria originalità e produce componimenti decisamente più stucchevoli.
Da quando ho deciso di scrivere un post su Giovanni Pascoli ad oggi è passato molto tempo. Il peso imponente che ha questo poeta sul mio gusto e sulla mia formazione letteraria mi ha reso il compito spaventoso, tanta era la paura di ridurre il discorso su questo immenso personaggio al solito elenco di banalità riportato sui manuali di letteratura in uso nelle scuole. La verità è che si parla di un artista straordinario, che accetta dal Decadentismo l'uso di immagini per la rievocazione di altri significati ma ne rifiuta l'intento scandalistico, che si contrappone all'eroe dannunziano con la forza della semplicità contadina, che riconosce le pecche della società contemporanea ma non cede a tendenze distruttive e nichilistiche, promuovendo piuttosto attraverso la poesia e l'impegno politico la nascita di una società in cui regnino la fratellanza e la concordia.
Conoscendo la storia del Novecento e del nostro presente, e le teorie folli che hanno prodotto più di un secolo di conflitti sanguinosi, potremmo dire che Pascoli è la medicina contro il morbo che appesta il mondo. Forse solo guardando con l'innocenza di un fanciullo alla rondine che, morta, tende il becco ai pulcini il cui pigolio si affievolisce, e cogliendo in essa l'immagine dell'uomo ucciso nella notte che mostra al cielo le bambole da donare alle figlie, troveremo la forza di fermare questa folle cascata di sangue e cominciare a costruire una nuova era di giustizia e fratellanza.
Francesco Abate
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