martedì 26 luglio 2016

FILOSOFIA: EPICURO E LA RICERCA DELLA FELICITA'

Filosofo dell'Antica Grecia, Epicuro concentrò il proprio pensiero filosofico sull'etica, cioè sui comportamenti pratici dell'uomo. Tanta attenzione sull'etica si era avuta anche da parte di Socrate, mentre Aristotele e Platone si erano concentrati maggiormente sull'ontologia. La grande differenza tra Epicuro e Socrate sta però nel modo di vedere l'uomo. Socrate infatti (ed i suoi allievi dopo di lui) considerò l'uomo principalmente come cittadino, invece Epicuro lo considerò in quanto individuo alla ricerca della felicità.

Epicuro riprese il pensiero di Democrito secondo cui in origine c'erano solo atomi che cadevano dall'alto verso il basso, poi dall'urto di questi atomi sono nate tutte le cose materiali. C'è da sottolineare che sia Democrito che Epicuro non intendevano l'atomo così come lo conosciamo noi oggi (struttura formata da protoni, elettroni e neutroni), per loro erano semplicemente corpi indivisibili che si distinguevano da quelli composti, formatisi successivamente ai loro urti. 
L'universo formato dagli urti tra atomi per Epicuro è infinito ed è formato dai corpi e dal vuoto. Per Epicuro l'universo non fu creato da una divinità, eppure non era ateo, pensava che le divinità esistessero ma non si curassero né dell'umanità né dell'universo. Luciano De Crescenzo, nel suo Storia della filosofia greca da Socrate in poi, ipotizza che Epicuro non volle negare l'esistenza degli Dei solo per evitare l'accusa di empietà. Comunque sia, la sua visione di divinità disinteressate all'universo tolse ogni spazio al Fato o a fantomatiche "missioni" dell'uomo sulla Terra, per lui contava solo il libero arbitrio.  

Essendo l'uomo libero da rapporti con entità divine, per Epicuro lo scopo ultimo della vita di un uomo era il piacere. Sia per la negazione di una divinità creatrice che per questo valore dato al piacere, Epicuro fu osteggiato dal Cristianesimo, anche se in realtà il piacere di cui parlava non aveva niente a che fare con la dissolutezza, che lui condannava.
Epicuro distinse i desideri in tre tipi: naturali e necessari, naturali e non necessari, non naturali e non necessari. I naturali e necessari sono quelli indispensabili per vivere, i naturali e non necessari sono quelli che ci fanno bene ma sono superflui, i non naturali e non necessari sono quelli che non nascono da una nostra reale esigenza ma sono indotti dall'opinione. Per Epicuro i primi vanno sempre soddisfatti, i terzi mai. I secondi invece, quelli buoni ma superflui, vanno soddisfatti solo dopo aver risposto alla domanda: << Mi conviene o non mi conviene? >>. In pratica per Epicuro il superfluo va anche bene, purché non ci arrechi un danno (come il bere troppo fino a sentirsi male, per fare un esempio pratico). In fin dei conti, volendo riassumere il piacere epicureo in poche parole, possiamo dire che piacere è il non soffrire.
Col piacere il filosofo identificò l'amicizia. Per lui l'amicizia è il bene più prezioso che ci viene fornito dalla saggezza, anche se nasce per utilità. 
Epicuro fornì all'uomo un "Quadrifarmaco" per condurlo all'infelicità:
1) per curare la paura degli Dei, egli dimostrò che essi si disinteressano dell'universo;
2) per curare la paura della morte, disse che quando c'è lei non ci siamo noi e quando ci siamo noi non c'è lei, non ha quindi senso temerla;
3) per curare la mancanza del piacere, dimostrò quanto sia facile raggiungerlo, purché non si ambisca alla dissolutezza;
4) per curare la paura del dolore, disse che quando questo dura tanto, è sopportabile, mentre quando è acuto si spegne presto.

Epicuro fu lungamente osteggiato dopo l'esplosione del Cristianesimo, con il quale poco si accordava la sua teoria delle divinità disinteressate all'universo e la visione del piacere come fine ultimo della vita. Con l'avvento dell'Umanesimo e del Rinascimento la sua figura e il suo pensiero furono rivalutati. 
Anche prima del Cristianesimo comunque l'Epicureismo ebbe detrattori agguerriti. Cicerone fu uno dei più celebri, ma l'intera corrente filosofica degli stoici fu estremamente critica nei confronti della scuola epicurea.
A non piacere dell'Epicureismo non fu solo la visione di un Dio disinteressato o del piacere come fine dell'esistenza, ma anche il disinteresse per la politica. Epicuro si curò dell'uomo in quanto tale, dei suoi bisogni, e dichiarare che il fine di un uomo dev'essere solo il piacere taglia fuori ogni interesse verso la vita politica. Per i Romani, che tanta importanza davano alla grandezza dell'Impero (o della Repubblica, a seconda del periodo storico), era una visione assolutamente inaccettabile. Ovviamente non furono pochi i Romani seguaci di Epicuro, il più celebre fu di certo Lucrezio che col suo De rerum natura espose per intera la teoria atomistica dell'Epicureismo.

Francesco Abate

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