mercoledì 28 agosto 2024

MANI SPORCATE

 

Mani sporcate è una poesia contenuta nella raccolta Inferno. Di tutte le poesie, questa è una delle più lunghe e anche delle più strazianti.
La poesia è ispirata alla storia di Lisa Montgomery, 52enne statunitense condannata a morte per omicidio. Il reato da lei commesso fu particolarmente cruento: uccise una donna incinta per estrarne il feto e tenerlo per sé. La pseudo-giustizia umana non perse tempo a condannarla alla pena capitale (pena che confonde la giustizia con la vendetta), soffermandosi sulla particolare efferatezza del delitto. 
Eppure, soffermandosi sulla storia di Lisa, ci si rende conto che lei è stata una delle vittime e non una carnefice. La sua infanzia e adolescenza è stata un'interminabile sequenza di abusi: il padre aveva una roulotte nascosta nel bosco in cui portava a turno Diane, la sorella maggiore, e Lisa per poterne abusare senza interferenze; la madre non solo conosceva ciò che subivano le figlie, ma era complice del mostro e addirittura spingeva le piccole a prostituirsi. I tanti anni di abusi hanno causato gravi turbe psichiche alla povera Lisa, che divenne ossessionata dall'idea di essere incinta sebbene fosse sterile. La circostanza della sua infermità mentale, legata appunto all'ossessione della maternità, avrebbe dovuto far riflette chi la giudicava per un delitto finalizzato all'estrazione e al furto di un feto, invece giudici e giuria si sono comportati da veri boia ed hanno calato la scure della vendetta senza pietà.
La storia di Lisa è l'esempio più fulgido di Inferno, di vita passata tra costanti sofferenze e ingiustizie, senza alcuna speranza di salvezza. Se davvero vogliamo chiamare Lisa "assassina", dovremmo come minimo chiederci chi sono stati i suoi mandanti.
La poesia Mani sporcate è strutturata come una canzone: composta di otto strofe, di cui quattro raccontano la sua vicenda (la prima gli abusi su Diane, la seconda gli abusi su Lisa, la terza la condanna a morte, la quarta è una sintesi) e quattro sono un ritornello che si ripete e che qui riporto:
Lisa affonda le mani
sporcate di sangue... sporcate da altri;
stringe al petto e piange amore
ma è un germoglio morto che culla.
Lisa dice qualcosa,
ascoltala bene, chiede pietà:
ma il mondo a cui chiese solo amore
rispose morte.
La settima strofa (l'ultima prima dell'ultimo ritornello) si conclude con un'amara sintesi della vicenda:
E' stata spezzata, uccisa dentro,
poi il lupo gigante l'ha sacrificata
sull'altare del tempio
dandola in pasto a pecore assetate di sangue
affinché ingozzandosi della propria crudeltà
non vedessero chi gli mordeva i lombi.
L'esecuzione di Lisa Montgomery è a mio modo di vedere il classico esempio di prepotenza del potere finalizzata alla distrazione della massa: hanno dato in pasto alla gente un "mostro" per poter vendere una sicurezza fasulla che li distraesse dalle ingiustizie di cui sono quotidianamente vittime.


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Colgo anche l'occasione per ricordarvi che sabato 31 agosto parlerò di Inferno al Terracina Book Festival. Appuntamento a partire dalle 18 al Teatro don Bosco in San Domenico Savio.
Vi aspetto.

Francesco Abate

sabato 17 agosto 2024

AMAZZONIA

 

Amazzonia è una poesia contenuta nella raccolta Inferno.
L'Amazzonia è considerata il polmone verde del mondo, un immenso patrimonio che ci dà l'ossigeno e dà la vita a numerose specie animali diverse, ma come sempre accade l'uomo capitalista pur di accumulare ricchezze la distrugge. La foresta amazzonica ogni anno subisce un forte disboscamento a causa delle coltivazioni intensive, che necessitano sempre di maggiori spazi, e dei cercatori d'oro.
In Amazzonia non vivono solo animali, ci sono anche esseri umani che, essendo la loro esistenza legata alla foresta, la difendono mettendo a repentaglio la propria vita. Ogni anno numerosi attivisti vengono uccisi dai criminali interessati alla distruzione della foresta amazzonica, e spesso i villaggi degli indigeni vengono trovati bruciati e pieni di cadaveri.
La poesia è il canto di un attivista, il quale difende la foresta "perché sei l'acqua, / l'aria, / il sangue che dà la vita, / e delle tue linfe si nutre la mia anima". L'attivista sa quanto è importante la foresta e la difende, ma conclude ognuna delle due strofe del canto con una tragica domanda: "il fuoco è morte in divisa mimetica, / sarò io l'acqua che lo spegnerà / o il legno che cenere sarà?" e "la morte abbaia sul nostro coraggio, / saremo noi il muro che la fermerà / o il gattino che indifeso morrà?"


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Francesco Abate

martedì 13 agosto 2024

MEDIOEVO SIMBOLICO DI MICHEL PASTOUREAU

 

Il Medioevo è un'epoca che esercita ancora oggi un potente fascino, basti pensare alla mole enorme di opere letterarie e cinematografiche ispirate a tale epoca. Con il saggio Medioevo simbolico lo storico Michel Pastoureau prova ad approfondire alcuni aspetti del Medioevo, così da permettere di comprenderne meglio alcune dinamiche.
Pastoureau prova a ricostruire la storia del Medioevo attraverso il simbolo e i colori, perché le immagini dei blasoni e delle arme, così come i colori degli abiti, dicono molto più di quello che possa sembrare a prima vista. Le immagini sono spesso simboli, rappresentano cioè qualcosa con l'intenzione di veicolare un messaggio. Ovviamente per comprendere al meglio le immagini medievali, ed avere quindi i mezzi per ricostruire accuratamente la storia dell'epoca, è necessario innanzitutto capire come all'epoca venivano percepite determinati immagini o determinati colori.
Oggi associare il giallo e il verde non ci dà alcun fastidio, sono due colori vicini nello spettro e per questo non creano un gran contrasto; nel Medioevo invece l'accostamento giallo-verde era considerato il più brutale possibile e veniva usato per vestire i matti, così da sottolinearne la pericolosità. Questo piccolo esempio che ho fatto, uno dei tanti riportati nel saggio, ci mostra come i colori non siano stati percepiti sempre allo stesso modo e per questo, conclude Pastoureau, diventa necessaria una storia dei colori. Solo capendo nei determinati momenti storici come era percepito un certo colore possiamo comprendere il messaggio che ci lancia quando inserito in un'arme o un blasone.
La storia dei colori poi deve tenere conto del modo in cui la chiesa li considerava. I Padri della chiesa in origine avevano un'opinione negativa dei colori, i quali sviavano dalla realtà delle cose, mentre in epoca carolingia prevalse la linea cromofila, che li identificava con la luce, conferendogli così un valore positivo. Questo dibattito intorno al valore del colore, e le diverse sensibilità sviluppatesi in epoche diverse, aiuterebbero a capire meglio le scelte intorno al colore degli abiti monastici, o a quello dei vestiti dei nobili e delle persone comuni.
Pastoureau dedica un'ampia porzione del saggio allo studio delle arme medievali, perché queste attraverso i colori e le immagini descrivono ciò che la persona vuole comunicare della propria identità. Ovviamente per comprendere appieno il significato dietro le arme, i blasoni e gli stemmi araldici, è necessario conoscere il modo in cui erano visti e percepiti gli animali o le cose che in essi sono rappresentati.

In questo post ho provato a descrivere i tratti salienti del pensiero che Pastoureau esprime a più riprese nel saggio Medioevo simbolico, senza la pretesa di essere esaustivo. Il saggio merita però di essere letto non solo per le argomentazioni che ho esposto sopra, ma anche per le numerose nozioni che fornisce proprio intorno alla simbologia medievale. Leggendo Medioevo simbolico scopriamo per esempio che Giuda era rappresentato spesso coi capelli rossi perché il rosso era considerato uno dei colori peggiori, e che nelle rappresentazioni in cui bacia Gesù nel Getsemani spesso anche Gesù "acquista" il rossore dei capelli del traditore per simboleggiare l'unione tra gli estremi. Leggiamo anche curiosità come il processo alla scrofa di Falaise, in Normandia, che nel 1386 fu giudicata da un tribunale ecclesiastico, torturata pubblicamente e uccisa per aver sbranato un bambino; attraverso esempi come questo, Pastoureau ci mostra in quale considerazione erano tenuti gli animali a quell'epoca.
Il saggio Medioevo simbolico merita di essere letto perché offre tutte le nozioni che ho descritto fino ad ora, e molte di più, in un modo semplice e coinvolgente che permette una facile comprensione anche a chi di storia è poco ferrato.

Francesco Abate

mercoledì 7 agosto 2024

IL FURTO DELLA FELICITA'

Per parlarvi de Il furto della felicità, poesia contenuta nella raccolta Inferno, ho scelto di non postare alcuna immagine, così come non vi dirò a chi di preciso si riferisce la poesia. Faccio così perché Michele (il nome ve lo posso dire perché lo trovate citato nella poesia) era un uomo qualunque incastrato in una vita qualunque. 
Michele si uccise a trent'anni, lasciando una lettera che fu pubblicata su diversi giornali. Quello che più mi colpì della sua vicenda fu l'assoluta specularità con le vite di milioni di persone, compresa la mia di allora. Uomo intrappolato in un lavoro precario, senza la possibilità di provare almeno a sognare un futuro, quindi senza prospettive, sentiva la propria esistenza come un lento trascinarsi e per questo decise di uccidersi.
Michele fu schiacciato dalla vita, sarebbe ingiusto dire che ad ucciderlo fu la sua fragilità o chissà quale altro problema psicologico: Michele fu spezzato dalla società disumana creata dall'attuale sistema politico-economico. Legalmente Michele si uccise, ma in realtà è stato ucciso da chi ha voluto questo stato di cose.
Chi scrive le regole del nostro mondo ha trasformato le nostre esistenze in inferni; per molti la vita è una continua lotta per la sopravvivenza, un logorante combattimento dal quale non si può uscire davvero vincitori. Michele scelse di chiamarsi fuori da questo gioco e sarebbe ingiusto condannarlo: che senso ha vivere sapendo che la felicità è irraggiungibile?

Vi lascio il testo della poesia:
Vivesti trent'anni, vivesti male
cercando nel mondo
la felicità
che t'avevan rubato.
A ogni corsa sbattevi nel muro,
a ogni volo cadevi nel fango:
stanco di botte e lerciume,
sei sceso e non hai proseguito.
Non perdonarli, 
Michele:
non devi!
Essi non hanno rimorso
e stuprano
quella felicità che t'amava
e ti hanno rubato.
Non abbassasti gli occhi allora
e non devi abbassarli ora,
la tua non fu una fuga
ma un urlo di protesta.
Non perdonarli,
Michele:
non devi!


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Francesco Abate