Di pari, come buoi che vanno a giogo,
m'andava io con quell'anima carca,
fin che 'l sofferse il dolce pedagogo.
Ma quando disse: << Lascia lui e varca;
ché qui è buono con l'ali e coi remi,
quantunque può, ciascun pinger sua barca >>;
dritto sì come andar vuolsi, rife'mi
con la persona, avvegna che i pensieri
mi rimanessero e chinati e scemi.
Dante procede di pari passo con Oderisi, le cui parole hanno chiuso il canto XI, finché Virgilio non gli dice di lasciarselo alle spalle e procedere oltre, visto che nel Purgatorio conviene che ognuno coi propri mezzi si preoccupi solo del proprio cammino. Il poeta obbedisce alla sua guida, riacquista la postura eretta per accelerare il passo, ma i suoi pensieri restano umili (chinati) e spogli della superbia (scemi). Le parole dell'amico lo hanno molto colpito, sia le riflessioni sulla vanagloria che le allusioni al suo esilio. I due pellegrini riprendono il cammino a passo svelto, finché Virgilio esorta il suo discepolo a guardare a terra così da vedere qualcosa che lo gioverà spiritualmente (...ed el mi disse: << Vogli li occhi in giùe: / buon ti sarà, per tranquillar la via, / veder lo letto de le piante tue >>). Per introdurci le immagini che trova, Dante le paragona a quelle dei defunti scolpite sulle pietre sepolcrali, sulle quali il ricordo spinge le anime pie a piangere, solo che queste del Purgatorio sono scolpite con maggiore maestria perché generate da un'arte non umana. Tutta la parte di suolo della sporgenza del monte è adorna di queste figure ("Come, perché di lor memoria sia, / sovra i sepolti le tombe terragne / portan segnato quel ch'elli eran pria, / onde lì molte volte si ripiagne / per la puntura de la rimembranza, / che solo a' pii dà de le calcagne; / sì vid' io lì, ma di miglior sembianza / secondo l'artificio, figurato / quanto per via di fuor del monte avanza").
La prima immagine mostra la caduta di Lucifero dal Paradiso dopo la ribellione a Dio, episodio citato nella Bibbia da Isaia e nell'Apocalisse. Dalla parte opposta è scolpita l'uccisione del gigante Briareo, che aveva osato ribellarsi a Giove. Ci sono poi scolpiti Apollo (qui chiamato Timbreo, soprannome che gli fu dato per via del tempio innalzatogli a Timbra), Atena e Marte, ancora armati intorno alle membra amputate dei Giganti. Vede poi Nembrot smarrito ai piedi della torre di Babele a causa della confusione delle lingue. C'è poi rappresentata Niobe, la quale guarda con la disperazione negli occhi i suoi quattordici figli uccisi da Apollo e Diana per punirla della sua superbia (aveva chiesto che la popolazione tebana tributasse a lei i sacrifici dovuti a Latona, vantandosi della sua progenie ben più nutrita, visto che la divinità era madre solo di Apollo e Diana). Poi è scolpita l'immagine di Saul, primo re d'Israele, suicidatosi dopo la sconfitta sul monte Gelboè; secondo la Bibbia, suo fratello David augurò al monte la sterilità a causa della siccità. Vede poi Aracne, già trasformata per metà in ragno da Atena, che l'aveva sconfitta in una gara di tessitura. C'è poi scolpito Roboam, successore sul trono d'Israele di re Salomone, che spaventato fugge su un carro e non mostra la superbia con cui aveva governato il suo regno. E' poi raffigurata l'uccisione di Erifile ad opera del figlio Almeone, che la punisce per essersi lasciata sedurre dalla collana dell'Armonia costruita da Vulcano ("lo sventurato addornamento") e aver mandato in guerra a Tebe suo marito Anfiarao, che lì venne inghiottito dalla terra così come aveva previsto. C'è poi scolpita l'uccisione del re assiro Sennacherib ad opera dei figli, i quali lo punirono della pestilenza che Dio aveva scatenato sul paese a causa della guerra contro Israele. Vede poi Tamiri, regina degli Sciti, che getta la testa del re persiano Ciro in un'otre piena di sangue per vendicare l'uccisione di suo figlio. C'è poi la rotta dell'esercito assiro in Giudea dopo la decapitazione del re Oloferne ad opera di Giuditta. Infine vede le rovine di Troia bruciata dai greci. Viste queste immagini, il poeta si chiede quale grandissimo artista possa averle scolpite con tanta maestria. I cadaveri e le persone sembrano reali, le sculture non sono meno reali degli eventi che raffigurano. La contemplazione il poeta la termina con un ammonimento ai vivi, che sono superbi e procedono a testa alta, invece dovrebbero abbassare lo sguardo così da vedere il sentiero che conduce alla perdizione ("Or superbite, e via col viso altero, / figliuoli d'Eva, e non chinate il volto / sì che veggiate il vostro mal sentero!").
Passato è più tempo e percorso è più cammino di quanto Dante, concentrato sulle sculture, abbia percepito quando Virgilio gli dice di alzare lo sguardo, non è più tempo di perdersi in meditazioni, e di osservare l'angelo che si sta avvicinando, facendogli poi notare che sei ore sono passate dall'inizio del giorno. La guida esorta il poeta ad assumere un atteggiamento di reverenza, così da convincere l'angelo ad avviarli alla seconda cornice, e gli ricorda che questo giorno non tornerà mai più. A loro si avvicina l'angelo, vestito di bianco e con una luce intensa irradiata dal volto ("A noi venìa la creatura bella, / biancovestito e ne la faccia quale / par tremolando mattutina stella"). L'angelo apre le braccia e le ali, invita i due poeti ad avvicinarsi, ci sono i gradini attraverso cui possono agevolmente salire alla seconda cornice, poi dice che a questo invito sono poche le persone che rispondono e si chiede come possa l'uomo, nato per volare al cielo, soccombere al vento delle tentazioni ("...disse: << Venite: qui son presso i gradi, / e agevolmente ormai si sale. / A questo invito vengon molto radi: / o gente umana, per volar su nata, / perché a poco vento così cadi? >>"). Li fa procedere dove la roccia è tagliata e con un colpo d'ali cancella la prima P dalla fronte di Dante, poi assicura al poeta di poter proseguire senza problemi.
Così come dal lato destro diventa improvvisamente meno ripida la salita verso San Miniato grazie alle scalee costruite sulla costa del monte quando ancora non si falsificavano le misure catastali e gli atti comunali (è un riferimento velato a un episodio di falsificazione avvenuto a Firenze ai tempi di Dante), così la salita del monte diventa meno aspra e rende agevole il passaggio alla seconda cornice. L'angelo canta in un modo tanto celestiale da non poter essere descritto a parole << Beati pauperes spiritu! >>. A questo punto Dante, ricordando il suo recente passaggio all'Inferno, nota quanto sia diverso nel Purgatorio, dove si entra in ogni cornice accolti da canti celestiali e non da feroci lamenti. Man mano che sale, il poeta si accorge di essere più leggero di quanto avrebbe pensato e chiede a Virgilio quale peso gli sia stato tolto di dosso per rendere il suo cammino così agevole. La guida gli spiega che quando dalla fronte gli avranno cancellato tutte le P, così come ora l'angelo gli ha cancellato la prima, non solo i suoi piedi non sentiranno più il peso del corpo, ma addirittura troveranno piacevole l'essere spinti verso l'alto ("Rispuose: << Quando i P, che son rimasi / ancor nel volto tuo presso che stinti, / saranno, com'è l'un del tutto rasi, / fier li tuoi piè dal buon voler sì vinti, / che non pur non fatica sentiranno, / ma fia diletto loro esser su pinti >>"). Il poeta, che ancora non si era accorto della sparizione della P, fa come quelli che non sanno d'avere qualcosa in testa e lo deducono dai cenni fatti da altre persone, si passa le dita sulla fronte e al tatto sente le sei P incise. Guardandolo fare ciò, Virgilio sorride.
Il canto XII del Purgatorio ci mostra per la prima volta l'effetto della purificazione da un peccato capitale su Dante. Il poeta si sente più leggero, pur non essendo schiacciato da un peso visibile come le anime della cornice, la superbia comunque rendeva più pesante il suo cammino.
Di questo canto è comunque molto interessante e degna di nota la prima parte, quella in cui abbiamo osservato le sculture. All'entrata nella cornice (canto X), Dante ci aveva descritto degli esempi di umiltà, virtù opposta alla superbia. Il cammino nella cornice si conclude invece con la visione di esempi di superbia punita. Non è casuale questa disposizione, all'ingresso nella cornice è infatti mostrato come l'uomo avrebbe dovuto comportarsi per evitare di essere superbo, o comunque degli esempi di uomini che non hanno commesso tale peccato, alla fine del cammino è invece esposta la punizione dovuta alla persistenza della colpa.
Molto interessante è anche il modo in cui sono descritte le sculture. Gli esempi di superbia punita sono tredici, ognuno contenuto in una terzina. Ci sono tre gruppi da quattro terzine ciascuno, la tredicesima è quella che descrive le rovine di Troia. Il primo gruppo vede ogni terzina cominciare con la parola Vedea, il secondo con O e il terzo con Mostrava. L'acrostico formato dalle tre iniziali forma la parola VOM, cioè "uomo", la creatura che ha commesso il peccato. Non è casuale inoltre che la rassegna di esempi termini con la caduta di Troia, degli eventi citati è infatti l'ultimo per ordine cronologico e con esso si chiude il periodo dell'antico errore. Dopo l'incendio di Troia inizia infatti il periodo della grazia, con la partenza di Enea da cui si genererà l'Impero romano, secondo popolo eletto da Dio.
Francesco Abate
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