Cronaca
di una morte annunciata è un libro a
metà strada tra il romanzo e la cronaca giornalistica. Marquez descrive infatti
un evento realmente accaduto, l’uccisione di Santiago Nasar da parte dei
fratelli Vicario. Lo scrittore ricostruisce i fatti con il rigore del
giornalista, non dobbiamo dimenticare che lui ha lavorato per numerosi
giornali, ma descrive fatti e personaggi con l’abilità del romanziere. Marquez
non si limita a ricostruire un fatto per consegnarlo alla memoria storica, come
appunto farebbe un giornalista o uno storico, ma lo mostra in modo tale da far
emergere delle riflessioni importanti.
Santiago
Nasar è vittima di un delitto d’onore, i fratelli Vicario infatti lo uccidono
perché colpevole di aver sedotto la sorella Angela (almeno così lei dice alla
gente, ma il fatto non è mai dimostrato e lo stesso Marquez sembra dubbioso).
La ricostruzione del delitto è fatta con rigore giornalistico, ma con la stoffa
del romanziere lo scrittore getta luce su situazioni secondarie che fanno
riflettere ancor più del romanzo in sé.
I
fratelli Vicario dicono a tutto il paese che sono intenzionati ad uccidere
Nasar, davvero lo sapevano tutti tranne il diretto interessato e pochi altri.
Questa scarsa discrezione è forse segno del desiderio nascosto degli assassini
di essere fermati, sentivano di essere obbligati a colpire, ma avrebbero tanto
voluto che qualcuno li fermasse. Eppure nessuno li ferma, per una serie di
circostanze (di cui alcune fortuite) Santiago Nasar viene lasciato al suo
destino. Addirittura la madre, credendolo in casa, in un maldestro tentativo di
salvarlo gli chiude la porta in faccia, bloccandogli la fuga e lasciandolo alla
furia dei suoi assassini. Chi potrebbe aiutarlo sottovaluta, chi prova ad aiutarlo
finisce per fallire o per peggiorare la situazione. È come se il destino avesse
voluto che Santiago Nasar venisse ucciso dai fratelli Vicario.
L’intento
dell’autore è proprio quello di mostrare come a volte gli eventi possano
degenerare a causa di piccolezze, minimi errori di valutazione o semplice
disinteresse. Se i fratelli Vicario avessero vinto il loro orgoglio di
fratelli, se Nasar fosse stato un po’ più attento, se la mamma avesse visto che
non era in casa e tanti altri “se” apparentemente insignificanti, l’omicidio
non sarebbe mai avvenuto. Qualcuno, leggendo il romanzo, potrebbe tirare in
ballo il destino, ma io credo che nel raccontare tanti retroscena delle storie
narrategli dai protagonisti, l’autore voglia proprio dimostrare che non c’è destino
e non c’è fatalità, è semplicemente una serie di circostanze e di debolezze
che, sommate tra loro, danno il tragico risultato. Non c’è entità che comanda o
destino scritto, sono gli uomini che con il loro egoismo, la loro sbadataggine
e i loro impulsi causano gli eventi.
Lo
stile narrativo con cui scrive Marquez è semplice e diretto, privo di
ampollosità, proprio a rendere il romanzo vicino alla ricostruzione
giornalistica di un fatto di cronaca. L’autore vive e racconta la vicenda in
prima persona, anche se solo in modo marginale, e il grosso delle notizie le
ottiene dalle testimonianze ottenute nella sua ricostruzione.
Il romanzo è anche uno spaccato sociale caraibico,
illustra infatti vita, usanze e anche vizi della città di Manaure. In mezzo ad
un omicidio, fatto di estrema gravità, non manca l’episodio del vescovo che si
guarda bene dallo scendere in mezzo alla gente, del poliziotto che pur
informato di un imminente omicidio interviene in modo decisamente troppo
blando, di tanta gente abbandonata a sé stessa che vive la propria vita
rischiando di esserne travolta.
Francesco Abate
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