mercoledì 13 maggio 2015

LETTERATURA: RECENSIONE DI "CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA" DI GABRIEL GARCIA MARQUEZ

Cronaca di una morte annunciata è un libro a metà strada tra il romanzo e la cronaca giornalistica. Marquez descrive infatti un evento realmente accaduto, l’uccisione di Santiago Nasar da parte dei fratelli Vicario. Lo scrittore ricostruisce i fatti con il rigore del giornalista, non dobbiamo dimenticare che lui ha lavorato per numerosi giornali, ma descrive fatti e personaggi con l’abilità del romanziere. Marquez non si limita a ricostruire un fatto per consegnarlo alla memoria storica, come appunto farebbe un giornalista o uno storico, ma lo mostra in modo tale da far emergere delle riflessioni importanti.


Santiago Nasar è vittima di un delitto d’onore, i fratelli Vicario infatti lo uccidono perché colpevole di aver sedotto la sorella Angela (almeno così lei dice alla gente, ma il fatto non è mai dimostrato e lo stesso Marquez sembra dubbioso). La ricostruzione del delitto è fatta con rigore giornalistico, ma con la stoffa del romanziere lo scrittore getta luce su situazioni secondarie che fanno riflettere ancor più del romanzo in sé.

I fratelli Vicario dicono a tutto il paese che sono intenzionati ad uccidere Nasar, davvero lo sapevano tutti tranne il diretto interessato e pochi altri. Questa scarsa discrezione è forse segno del desiderio nascosto degli assassini di essere fermati, sentivano di essere obbligati a colpire, ma avrebbero tanto voluto che qualcuno li fermasse. Eppure nessuno li ferma, per una serie di circostanze (di cui alcune fortuite) Santiago Nasar viene lasciato al suo destino. Addirittura la madre, credendolo in casa, in un maldestro tentativo di salvarlo gli chiude la porta in faccia, bloccandogli la fuga e lasciandolo alla furia dei suoi assassini. Chi potrebbe aiutarlo sottovaluta, chi prova ad aiutarlo finisce per fallire o per peggiorare la situazione. È come se il destino avesse voluto che Santiago Nasar venisse ucciso dai fratelli Vicario.

L’intento dell’autore è proprio quello di mostrare come a volte gli eventi possano degenerare a causa di piccolezze, minimi errori di valutazione o semplice disinteresse. Se i fratelli Vicario avessero vinto il loro orgoglio di fratelli, se Nasar fosse stato un po’ più attento, se la mamma avesse visto che non era in casa e tanti altri “se” apparentemente insignificanti, l’omicidio non sarebbe mai avvenuto. Qualcuno, leggendo il romanzo, potrebbe tirare in ballo il destino, ma io credo che nel raccontare tanti retroscena delle storie narrategli dai protagonisti, l’autore voglia proprio dimostrare che non c’è destino e non c’è fatalità, è semplicemente una serie di circostanze e di debolezze che, sommate tra loro, danno il tragico risultato. Non c’è entità che comanda o destino scritto, sono gli uomini che con il loro egoismo, la loro sbadataggine e i loro impulsi causano gli eventi.


Lo stile narrativo con cui scrive Marquez è semplice e diretto, privo di ampollosità, proprio a rendere il romanzo vicino alla ricostruzione giornalistica di un fatto di cronaca. L’autore vive e racconta la vicenda in prima persona, anche se solo in modo marginale, e il grosso delle notizie le ottiene dalle testimonianze ottenute nella sua ricostruzione.


Il romanzo è anche uno spaccato sociale caraibico, illustra infatti vita, usanze e anche vizi della città di Manaure. In mezzo ad un omicidio, fatto di estrema gravità, non manca l’episodio del vescovo che si guarda bene dallo scendere in mezzo alla gente, del poliziotto che pur informato di un imminente omicidio interviene in modo decisamente troppo blando, di tanta gente abbandonata a sé stessa che vive la propria vita rischiando di esserne travolta.

Francesco Abate

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