Alla base della
costruzione di Hobbes della società ci sono due presupposti:
1)
Pur essendo relativi tutti i beni, vi è
tuttavia fra di essi un primo ed
originario bene, che è la vita e la conservazione della medesima (così come
un primo male, che è la morte);
2)
In secondo luogo egli nega che esistano una giustizia ed una
ingiustizia naturali, dato che non ci sono “valori assoluti”. Giustizia e
ingiustizia sono frutto di “convenzioni” stabilite da noi stessi, sono quindi
conoscibili in maniera perfetta e a priori, insieme a tutto ciò che da esse
scaturisce.
“Egoismo” (il primo
presupposto) e “convenzionalismo” (il secondo) sono i cardini della nuova
scienza politica.
Hobbes contesta il pensiero aristotelico, che vedeva
l’uomo come “animale politico” fatto per vivere in una società strutturata. Per
Hobbes ciascun uomo è profondamente diverso dagli altri uomini e quindi da esso
staccato, è un “atomo di egoismo”.
Ciascun uomo non è affatto legato agli altri uomini
da un consenso spontaneo come quello degli animali, che si basa su di un
“appetito naturale”, per le seguenti ragioni:
1)
Fra gli uomini ci sono motivi di contesa
che non ci sono fra gli animali;
2)
Il bene dei singoli animali non
differisce dal bene comune, nell’uomo invece il bene privato differisce da
quello pubblico;
3)
Gli animali non scorgono difetti nella
loro società, gli uomini invece si e per questo cercano di introdurre sempre
novità che sono alla base di discordie e guerre;
4)
Gli animali non hanno la parola, che nell’uomo
è spesso “tromba di guerra e di sedizione”;
5)
Gli animali, a differenza degli uomini,
non si biasimano tra loro;
6)
Negli animali, a differenza che
nell’uomo, il consenso è naturale.
Lo Stato dunque non è
naturale, ma artificiale.
Secondo Hobbes la condizione
in cui gli uomini naturalmente si trovano è quella di una guerra tutti contro tutti. Ciascuno infatti tende ad appropriarsi
di ciò che gli serve e la natura non pone limite a ciò che si può possedere,
quindi ognuno ha diritto su tutto. In tale situazione è costante per l’uomo il
pericolo di perdere il bene primario,
cioè la vita, ed egli vive nel costante terrore di perderla violentemente.
L’uomo esce da questa condizione facendo leva sugli
istinti, cioè il desiderio di evitare la guerra continua e quello di avere il
necessario alla propria sopravvivenza, e sulla ragione, non intesa come valore
in sé, ma come strumento per realizzare i desideri di fondo. Così nascono le “leggi di natura”, che non sono altro
che razionalizzazione dell’egoismo, che permettono di realizzare il desiderio
dell’autoconservazione. Una legge di natura è un precetto o una regola generale
scoperta dalla ragione, che vieta ad un uomo di fare ciò che è lesivo della sua
vita o che gli toglie i mezzi per preservarla, e di omettere ciò con cui egli
pensa possa essere meglio preservarla.
Nel Leviatano Hobbes elenca 19 leggi:
1)
Sforzarsi di cercare la pace;
2)
Rinunciare al diritto su tutto, ogni
uomo si accontenti di avere la libertà che è disposto a concedere agli altri
uomini. (per Hobbes questa è la legge del Vangelo)
3)
Adempiere ai patti fatti. (così nascono
giustizia ed ingiustizia)
4)
Restituire i benefici ricevuti, così che
non si pentano di averli fatti.
5)
Ciascun uomo deve adattarsi agli altri.
(nascono così socievolezza e il suo contrario)
6)
Si perdonino coloro che, pentendosi, lo
desiderano.
7)
Nelle vendette (o nelle punizioni) non
si guardi la male passato ricevuto, ma al bene futuro.
8)
Non dichiarare odio o disprezzo per gli
altri.
9)
Ogni uomo riconosca gli altri uguali a
sé per natura.
10)
Nessuno pretenda di vedersi riservato un
diritto che non sarebbe contento fosse riservato a qualcun altro.
11)
Colui a cui è affidato il compito di giudicare
tra due uomini, deve comportarsi in maniera equa tra i due.
Le altre otto
prescrivono l’uso comune delle cose indivisibili, l’affidamento alla sorte della
fruizione dei beni indivisibili, il salvacondotto per i mediatori di pace,
l’arbitrato, le condizioni di idoneità a giudicare equamente e la validità
della testimonianza.
Queste leggi però non bastano, infatti i patti non
servono a niente senza una spada che ne imponga l’osservanza, quindi serve un potere che imponga il rispetto delle stesse.
Tra i cittadini si stipula il patto sociale, ma deve esserci un sovrano (o
un’assemblea) che è al di fuori del patto, entrandoci infatti genererebbe
contrasti nella gestione del potere. Egli è depositario dei diritti dei
cittadini, è l’unico a mantenere tutti i diritti, mentre è depositario delle
rinunce dei cittadini, è al di sopra della giustizia, tutti i poteri sono concentrati
nelle sue mani ed anche la Chiesa deve essergli soggetta, lui è anche arbitro
in materia di religione, dogma e interpretazione delle Sacre Scritture.
Hobbes
affida allo stato il nome “Leviatano” (letteralmente significa “coccodrillo”, è
un mostro invincibile descritto nel libro di Giobbe, capp. 40-41). Lo designa
anche come “dio mortale”, perché a lui dobbiamo la pace e la nostra
sopravvivenza (al di sopra dello stato vi è solo il Dio immortale). Lo Stato che ha concepito è per metà mostro
e per metà dio mortale.
Francesco Abate
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