domenica 16 novembre 2025

NO OTHER LAND - GUARDARE L'ORRORE SENZA FILTRI

Ieri sera finalmente ho avuto modo di vedere il docu-film No other land, dopo che per ben due volte la Rai ne ha rinviato la messa in onda.
Non voglio condividere con voi le mie impressioni, perché sono riassumibili in due semplici parole: rabbia e tristezza. Nemmeno scrivo il post per dirvi di cosa parla il film, perché riassunti ne trovate a iosa sul web, e poi i fatti che racconta sono noti a tutti quelli che non nascondono la testa sotto la sabbia.
Scrivo per condividere con voi la ragione per cui, secondo me, chi ci governa ha tanta paura di questo film. No other land ci permette di guardare l'orrore senza veli, ci libera della confortevole protezione del filtro che noi applichiamo alle vittime, quei palestinesi che immaginiamo come esseri provenienti da un pianeta diverso; ci fa vedere che il palestinese è l'uomo che si costruisce la casa con le sue mani, la donna che dice al figlio di coprirsi bene perché fa freddo, il ragazzo che ha studiato e vorrebbe costruirsi un futuro, il bambino che si diverte guardando gli animali e gioca con quello che trova. No other land ci libera dal torpore, ci fa vedere che le vittime del genocidio sono persone identiche a noi. A molti sembrerà poca cosa, ma vi assicuro che non lo è, perché ci permette di metterci nei loro panni, di essere noi l'uomo che un mattino vede demolire la casa che ha costruito con tanta fatica, di essere noi la donna che vede il figlio agonizzare e morire dentro una grotta, di essere noi il bambino che vede uomini armati irrompere di notte nella propria casa. La visione di questo film ci permette di sentire sulla pelle quello che stanno provando i palestinesi, in più ci permette di capire che, quel che oggi succede a loro, domani potrebbe succedere a noi.
No other land fa tanta paura perché toglie il velo dall'orrore e lo mostra in tutta la sua crudezza. Se il Governo ha tentato con tanta forza di bloccarne la trasmissione è per la stessa ragione per cui Israele uccide i giornalisti nella striscia di Gaza: si vuole impedire la comprensione delle vittime, lasciando che "i palestinesi" restino dei numeri e poco altro.
Vi invito con tutto il cuore a guardare questo documentario, solo allora potrete dire di aver compreso appieno cosa stanno soffrendo milioni di persone la cui vita è resa un inferno tanto in Cisgiordania quanto a Gaza. La visione del film è anche un test: se guardandolo riuscirete a non provare pietà per le vittime e rabbia contro i carnefici, dovrete correre ai ripari perché l'umanità in voi è morta.

Francesco Abate

sabato 15 novembre 2025

INTERVISTA PER L'ASSOCIAZIONE "CONDUCO UN DIALOGO"

Con grande piacere vi informo che sulla mia pagina Facebook è disponibile l'intervista che ho rilasciato ieri ad Alessandro Buscemi dell'Associazione "Conduco un dialogo".
Nel corso della piacevole chiacchierata con Alessandro, ho parlato delle mie opere e della mia idea di letteratura.

Buona visione.

Francesco Abate

martedì 11 novembre 2025

PARLIAMO DI EUDEMONIA: APATE, LA DEA DEGLI INGANNI

 

Apate, la dea degli inganni, compare a Francesco e Dante lungo il viaggio alla ricerca di Dio, segnandone una svolta fondamentale.
La dea appare come una snella figura femminile dal corpo simile a una pantera, capace di far abbassare la guardia allo sprovveduto che a lei si approccia con superficialità, al quale impedisce di vedere i serpenti che guizzano sul suo capo come capelli demoniaci. Francesco, da persona impulsiva qual è, si lascia ingannare, ma Dante, che guarda con gli occhi della ragione, scopre subito gli inganni che nasconde Apate e riesce ad affrontarla. L'esito dello scontro, oltre ad essere decisivo per il viaggio dei due pellegrini, svela come dietro ad Apate si nasconda un incredibile segreto.
Per la costruzione della figura di Apate mi sono ispirato all'arte figurativa dell'antica Grecia, dove compare appunto con la pelle di pantera e serpenti nei capelli.
Con lo scontro tra i protagonisti e Apate, si chiude la prima parte di Eudemonìa, che appunto prende il nome della dea.


Vi invito a seguire il blog e le mie pagine social (FacebookMeWeInstagram) per tutti gli aggiornamenti riguardo questo romanzo.
Vi ricordo che potete acquistare il romanzo in tutte le librerie fisiche e virtuali (link in questa pagina). Per chi è di Battipaglia, lo trovate subito disponibile presso Copperflield Bookshop in via Italia, 43. 

Francesco Abate

domenica 9 novembre 2025

VI PRESENTO LA MIA ULTIMA POESIA: "LA SCROFA DI FALAISE"

 

La scrofa di Falaise è l'ultima mia poesia pubblicata su Spillwords.com.
Questa poesia è ispirata ad un evento storico molto particolare: all'inizio del 1386 una scrofa, per aver sbranato un bimbo di tre mesi, fu processata e condannata a morte, venendo quindi trascinata per le strade di Falaise, infine mutilata e uccisa. A quell'epoca i processi ad animali colpevoli di azioni particolarmente cruente non erano una rarità, ma questo della scrofa di Falaise è forse uno dei meglio documentati.
Ho usato questa poesia per riflettere sull'ipocrisia della società. La scrofa fu infatti giustiziata perché colpevole di aver stroncato una vita, ma la società a quel piccolo uomo avrebbe donato un'esistenza in povertà, schiacciata dal giogo dello sfruttamento, e magari alla fine l'avrebbe pure mandato al macello in qualche guerra. La realtà oggi non è tanto diversa: chi amministra la legge (evito volutamente di usare la parola "giustizia") punisce colui che toglie la vita, eppure egli stesso destina i propri cittadini alla schiavitù del precariato, della miseria, e spesso alla morte in qualche guerra dichiarata per chissà quale interesse economico, o più di frequente alla morte dello spirito tra le fauci del consumismo. Chi punisce l'assassino è a sua volta tale, solo che la legge lo risparmia perché il crimine è mascherato dalla ragion di Stato.

Approfitto della pubblicazione di questa poesia per spronarvi a non confondere mai la giustizia con la vendetta, a fuggire quindi alle soluzioni come la legge del taglione o la pena di morte. Vi esorto anche a restare vigili nello spirito, a vedere oltre i pregiudizi e cercare le mani davvero sporche del sangue della vittima di turno.

Vi ricordo che potete trovare i link a tutte le mie poesie pubblicate sul web accedendo a questa pagina.

 Francesco Abate

giovedì 30 ottobre 2025

"LA FIABA NUCLEARE DELL'UOMO BAMBINO" DI HAMID ISMAILOV

 

La fiaba nucleare dell'uomo bambino è un romanzo dello scrittore uzbeko Hamid Ismailov che affronta il tema dei test nucleari sovietici e del loro impatto sulla vita della gente comune.
Ismailov racconta la storia di un uomo, Erzan, intrappolato nel corpo di un bambino. L'incantesimo non è opera di un mago o una fata, né di una strega, ma è il frutto della spietata sete di potere e ricchezza dell'essere umano. Erzan, infatti, vive in una zona della steppa kazaka vicina ad un poligono usato dai sovietici per i test nucleari, esposto quindi alle conseguenze di queste grandi esplosioni che stravolgono la natura e le vite di chi la abita, perché l'essere umano non è qualcosa di scisso dall'ambiente, ma ne fa parte. Il piccolo Erzan però va oltre, commette l'impudenza di fare un bagno in un lago contaminato dai test nucleari, e da allora il suo corpo smette di crescere. 
L'incantesimo subito da Erzan lo porta a sviluppare un profondo senso di inadeguatezza, infatti tutti i suoi amici crescono, e cresce anche la sua amata Ajsulu, che sboccia come un fiore mentre lui rimane una piccola gemma. La vita di un bambino come tanti, cullato dai sogni e dall'amore per la musica, viene stravolta per sempre dalla prepotenza di chi gioca sulla vita dei propri cittadini al solo scopo di soddisfare la propria brama di potere.
Gli effetti dei test nucleari non si vedono solo su Erzan. Questo romanzo vive su uno splendido e spietato contrasto tra la vita tranquilla dei poveri contadini e il delirio atomico di una superpotenza nucleare, con quest'ultima che come un treno travolge tutto ciò che incrocia e si lascia alle spalle solo dolore e morte.

Sebbene sia intriso delle superstizioni e della semplicità dei poveri contadini kazaki, La fiaba nucleare dell'uomo bambino è un romanzo che tratta temi drammatici ed è molto legato alla realtà storica del luogo.
Nelle pagine di questo libro vediamo un ambiente devastato dalla corsa al potere militare; la logica della guerra ferisce e uccide tutto ciò che è vita, compreso l'essere umano. Il tema è attualissimo, ma sono chiari i riferimenti ai test atomici svolti dai sovietici nel Poligono di Semipalatinsk dal 1949 alla caduta del regime, così come il bagno fatale di Erzan richiama al Lago Chagan, specchio d'acqua radioattivo ancora esistente in Kazakistan. Questo romanzo è perciò a suo modo anche un romanzo storico, sebbene mostri gli eventi attraverso gli occhi di chi la storia non si accorge nemmeno di viverla.
Ismailov ci mostra come l'essere umano non possa essere scisso dalla natura, e che quindi ogni violenza compiuta contro l'ambiente è una ferita aperta nelle carni degli uomini. L'autore ci dice inoltre che la scelta di armarsi fatta da chi detiene il potere non è mai favorevole ai cittadini, che vengono sacrificati volentieri per qualche missile in più.
I messaggi contenuti in questo romanzo dovrebbero suonare nelle nostre orecchie fino a farci scoppiare i timpani, forse così smetteremmo di correre dietro alla folle logica della pace ottenuta con missili e bombe.

Francesco Abate

domenica 26 ottobre 2025

PARLIAMO DI EUDEMONIA: LA LENTEZZA

Ecco a voi un estratto del mio ultimo romanzo, Eudemonìa, che vede protagonisti Francesco e Dante, appena usciti dal palazzo di re Matteo e in procinto di partire alla ricerca di Dio:
Arrivato all'auto, estrasse le chiavi dalla tasca, quando una mano gli si posò sulla spalla. Era Dante che lo stava toccando, il volto era inespressivo, ma si vedeva che era sul punto di dirgli qualcosa. "Conviene proseguire a pieni" dichiarò, dopo qualche secondo di attesa.
"Perché?"
"Quello che cerchi non può essere trovato correndo, dovrai camminare e valutare bene ogni passo."
"Che dici? Basterà pianificare un itinerario. Con la macchina risparmieremo tempo e potremo percorrere distanze maggiori."
"Grandi distanze percorse in poco tempo vuol dire tanti posti non visti, tante parole non scambiate e tante informazioni non recepite. Non è il modo migliore per fare una ricerca. Quando si cerca qualcosa è necessario procedere con lentezza, meditare e assaporare ogni cosa, anche la più insignificante."
Francesco decise di cedere, si convinse che Dante avesse un'idea precisa di dove cercare, altrimenti non sarebbe stato così determinato nel rinunciare a un mezzo di trasporto. "Dove pensi che dovremmo cercare?" gli domandò.
"Io non ne ho idea. L'universo intero è il nostro campo di ricerca."
"Bene. Quanti miliardi di anni ci concede il re per la missione?"
Dante non si scompose, il suo viso rimase inespressivo. Francesco si chiese se avesse colto il sarcasmo o meno.

In questa scena Dante, la ragione, suggerisce a Francesco di cercare con lentezza. La lentezza in effetti domina quasi tutto il romanzo, perché Eudemonìa è una lunga ricerca, e si giunge alla meta agognata solo cogliendo ogni piccolo segnale lanciato dall'universo, anche il più insignificante.


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Francesco Abate

domenica 19 ottobre 2025

SIMONE WEIL

 

Scrittrice e intellettuale francese, Simone Weil è stata una figura originale nel panorama intellettuale del Novecento.
Convinta della necessità di un'esperienza diretta delle realtà di cui parlava, per non lasciare solo parole al vento, abbandonò presto l'insegnamento per andare a lavorare in fabbrica, poi nel 1936 si arruolò nella guerra civile spagnola. Al centro del suo pensiero c'è infatti la condizione dei lavoratori, e l'esperienza della guerra servì a convincerla di quanto ci si potesse abituare anche alle uccisioni.

L'esperienza maturata in fabbrica insegna a Weil che il lavoratore è uno schiavo, che subisce con la mansuetudine di una bestia da soma i comandi e le angherie dei superiori, e che nell'esercizio delle sue mansioni è privato di qualsiasi iniziativa. L'operaio ogni giorno esce dalla fabbrica stanco, incapace di pensare e di provare sentimenti, tanto più di ribellarsi, e questa condizione disumana lo porta a rifugiarsi nell'incoscienza, ecco così spiegati i fenomeni dell'alcolismo e della tossicodipendenza. 
Per Weil però anche la rivoluzione è una forma di ricerca dell'oblio. Weil guarda all'esperienza dell'URSS, dove il partito rivoluzionario non ha distrutto la macchina burocratica, ma se n'è semplicemente impadronito. L'esperienza sovietica dimostra che nessun partito può condurre alla liberazione del lavoratore dalla schiavitù, solo i sindacati possono riuscirci.
Col passare del tempo, però, Weil diventa pessimista sulle possibilità di liberazione dell'operaio. Una totale sconfitta del sistema che disumanizza il lavoratore e lo rende schiavo le sembra impossibile, più plausibile è cercare di conoscere la verità per inserire un po' di gioco negli ingranaggi che lo schiacciano. Si tratta quindi per l'operaio di ritagliarsi piccoli spazi di libertà, ma una liberazione completa non sembra possibile; il lavoratore deve solo diventare consapevole della tecnica che utilizza, trovando quella dignità nel lavoro che gli viene negata. Tutto nella società resta sottomesso a meccanismi di comando ed obbedienza, alla subordinazione dell'individuo (che diventa sempre più insignificante) alla collettività.
In questo quadro così disperato, l'unica salvezza per l'uomo è Dio, a cui è più prossimo chi sta peggio. Weil, sebbene si voti alla fede nella parte finale della sua giovane vita, rimane distante dai dogmi dalla Chiesa, il cui tentativo di imporre la propria "intelligenza" su quella degli uomini è un abuso, che mortifica l'individualità dei fedeli.

Il pensiero di Simone Weil, qui riassunto in poche righe che di certo non possono essere esaustive, è di sicuro il frutto della delusione causata dalla rivoluzione russa nei socialisti d'Europa. Vedere la rivoluzione tanto sognata trasformata in un nuovo crudele regime di oppressione ebbe l'effetto di destabilizzare molti intellettuali di sinistra, spingendoli a dare risposte diverse a quelle derivate a inizio Novecento dallo studio di Marx.
Weil fu aspramente criticata per la sua posizione antisovietica (che ebbe il coraggio di esprimere pubblicamente). Propose la teoria di una dittatura della burocrazia, in contrasto con la dittatura del capitalismo teorizzata da Marx, e la sua visione di una collettività che cancella l'individualità a mio modo di vedere dipinge perfettamente il mondo che conosciamo.
Nella parte finale della sua vita Weil si avvicinò alla fede e in Dio ripose le speranze di salvezza del lavoratore e dell'uomo, ma questo fu forse causato dall'impossibilità di trovare soluzioni pratiche ai problemi degli operai-schiavi e dal suo limitare tutta l'analisi della vita umana alle condizioni dei lavoratori.
Weil non ebbe il tempo di vivere il dopoguerra e il boom economico (morì nel 1943) ed è un peccato: sarebbe stato bello vedere l'evoluzione del suo pensiero alla luce delle nuove mutazioni della vita umana.

Francesco Abate

domenica 5 ottobre 2025

PARLIAMO DI EUDEMONIA: BEATRICE, LA TEOLOGIA

 

Durante il loro viaggio alla ricerca di Dio, Francesco e Dante incontrano Beatrice, una bellissima donna di cui la guida del protagonista si innamora, e alla quale dedica numerosi sonetti.
Beatrice rappresenta la Teologia, anche lei è alla ricerca di Dio, forte di sterminate conoscenze in materia religiosa; sebbene però usi un approccio rigoroso e scientifico, la sua conoscenza è inquinata dalla fede, dalla cieca credenza nell'esistenza di Dio, e questo finisce per stravolgerla completamente quando la ricerca ha un risvolto imprevisto. Mentre Dante reagisce con razionalità e rigore anche quando le sue idee sono smentite dalla realtà, accogliendo la realtà per quel che è, Beatrice non è disposta a riconoscere un errore, arrivando al punto di corrompersi e autodistruggersi.
La storia d'amore tra Dante e Beatrice l'ho inserita per omaggiare il tema centrale dell'opera del Sommo Poeta, ma anche perché la Ragione nella ricerca di Dio si imbatte nella Teologia e spesso ne subisce il fascino. L'amore della Ragione per la Teologia è puro e sincero, perché ama tutto ciò che è conoscenza, mentre l'amore della Teologia per la Ragione è interessato e utilitaristico, perché chi spaccia la fede per ragione usa quest'ultima solo nei modi e nei tempi che rafforzano le tesi in cui già crede. Tra Dante e Beatrice è quindi un amore infelice, che finirà nel peggiore dei modi.


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Francesco Abate

domenica 21 settembre 2025

"LE DEDICO IL MIO SILENZIO" DI MARIO VARGAS LLOSA

 

Le dedico il mio silenzio è l'ultimo romanzo dello scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, pubblicato nel 2024.
Nel Perù diviso tra varie etnie, schiacciato dalla dittatura di Fujimori e straziato dagli omicidi di Sendero Luminoso, una piccola luce sembra venire dal vals criollo, uno stile di musica popolare sviluppatosi negli ambienti poveri molti anni prima.
Il protagonista, Toño Azpilicueta, è un uomo la cui vita piatta e senza ambizioni si trascina di giorno in giorno, finché una sera non assiste all'esibizione di un chitarrista criollo, il misterioso Lalo Molfino, della cui tecnica sopraffina rimane folgorato. Decide di dover assolutamente scrivere un saggio su quel chitarrista straordinario, che nel frattempo però muore. Lentamente il suo saggio amplia il proprio respiro, diventando qualcosa di molto più ambizioso: un'opera con la quale l'autore propone il vals criollo come mezzo per il superamento delle divisioni etniche e sociali del Perù. 
L'arte e le radici comuni, rappresentate dal vals criollo, possono unire un paese che sembra irrimediabilmente spaccato, così come il sogno può trasformare la vita di Toño Azpilicueta in una missione umanitaria. Purtroppo però le sorti del romanzo e del protagonista sembrano dimostrare che l'arte non può davvero cambiare il mondo, infatti il successo del libro di Azpilicueta dura poco e in un lampo tutti se ne dimenticano, così come la cancellazione della cattedra di Attività peruviane dimostra come a livello accademico nessuno si interessi davvero alle radici del Perù e al vals criollo.
Anche la vita del protagonista, dopo aver raggiunto l'apice con una conferenza in Cile, si disintegra quando il sogno diventa un'ossessione e naufraga nel mare dell'indifferenza.

Le dedico il mio silenzio è un romanzo molto godibile, che permette di riflettere sul valore dell'arte e delle radici dei popoli nel mondo contemporaneo, oltre che sull'importanza di un sogno al quale consacrare la propria vita. 
Toño Azpilicueta è un uomo senza stimoli, spento, un morto vivente, che risorge quando comincia a credere nel suo progetto. Lui commette l'errore di trasformare il sogno in ossessione, finendo in rovina, ma non è detto che sia impossibile mantenere un equilibrio e continuare serena la navigazione fino alla fine dei propri giorni.
Il romanzo è anche un'occasione per scoprire questo tipo di musica, il vals criollo, e la cultura popolare che rappresenta.

Francesco Abate

VOCI PER LA PALESTINA

 

Sabato 27 e domenica 28 settembre 2025, a partire dalle ore 19, a Salerno ci sarà il primo appuntamento della manifestazione Voci per la Palestina. Sarà una mostra che coinvolgerà la vista e l'udito, con opere d'arte e poesie ispirate dal genocidio che Israele sta compiendo a Gaza.
Sarò felicissimo di partecipare con una mia poesia, e spero che veniate numerosi, perché l'arte non può essere qualcosa di fine a sé stesso, di slegato dal mondo, ma deve essere un vento capace col suo soffio di abbattere le torri dell'odio e del potere.

Francesco Abate

sabato 13 settembre 2025

LO SCHIAFFO DI ANAGNI

 

Lo schiaffo di Anagni è un episodio che si fonde tra storia e leggenda, che è stato l'apice del conflitto tra potere temporale e spirituale ed ha protratto per secoli i suoi effetti. Forse, volendolo descrivere con linguaggio moderno, lo potremmo definire come la crisi internazionale più grave d'Europa prima della scoperta dell'America.
L'episodio affonda le sue radici in una crisi profonda apertasi tra Francia e Chiesa verso la fine del Duecento. Sebbene fosse ancora radicata l'idea della preminenza del papato sul potere temporale, quindi su tutti i sovrani, il Regno di Francia reclamava con sempre maggior forza una più ampia autonomia, soprattutto in materia fiscale. Impegnata nel conflitto lungo e sanguinoso contro l'Inghilterra, la Francia aveva bisogno di entrate fiscali più cospicue, quindi nel 1296 deliberò il prelievo di un cinquantesimo della ricchezza di tutti i francesi, incluso il clero. Bonifacio VIII contestò con forza tale iniziativa del sovrano francese e con la bolla Clericis laicos sancì che il clero potesse essere tassato solo dietro autorizzazione papale. 
Bonifacio VIII non aveva nemici solo in Francia. Sin dal proprio insediamento, il pontefice aveva intrapreso un'energica politica di acquisizione e annessione di proprietà, allo scopo di rendere più fulgido e potente il nome della sua casata, i Caetani. Questa espansione territoriale "personale" lo portò in conflitto con la potente famiglia dei Colonna, che in Lazio pure vantava vasti possedimenti. Lo scontro si acuì quando, il 3 maggio del 1297, Stefano Colonna, nipote del cardinale Giacomo e fratello del cardinale Pietro, assalì sulla via Appia un convoglio che trasportava denaro di Bonifacio VIII. Il pontefice subito convocò i due cardinali parenti dell'assalitore, chiedendo la restituzione della somma rubata, la consegna di Stefano e la cessione della città di Palestrina. I due cardinali accettarono solo la prima richiesta, mentre nel Manifesto di Lunghezza invocarono un nuovo concilio e protestarono contro l'illegittimità dell'elezione di Bonifacio VIII, il quale rispose scomunicando loro e il ramo principale della famiglia Colonna. Successivamente, da Palestrina, i due ex cardinali Colonna tornarono alla carica accusando il pontefice di assolutismo tirannico e fiscalismo rapace. Il papa, intenzionato a chiudere la questione, indisse una crociata contro la famiglia Colonna, che portò nel 1298 alla loro resa. I Colonna, sperando nel perdono papale, il 15 ottobre 1298 sfilarono a Rieti vestiti di sacco e a piedi nudi. Il papa, sebbene il Cristianesimo predichi la misericordia, non si mostrò per nulla propenso al perdono: ordinò la distruzione di Palestrina, sulle cui terre fu passato l'aratro e cosparso il sale, affinché nulla più vi crescesse.
Bonifacio VIII aveva quindi nemici potenti e arrabbiati tanto a pochi passi da casa (i Colonna) quanto oltralpe (Filippo IV il Bello, re di Francia). Proprio lo scontro col re francese si stava acuendo ancor di più, sempre per ragioni fiscali. Quando Bonifacio VIII fu sul punto di scomunicare il sovrano, questi decise di passare all'azione: il 7 settembre 1303 inviò due truppe di mercenari, una delle quali capitanate da Giacomo "Sciarra" Colonna (i nemici del papa si erano alleati), le quali entrarono nella città di Anagni grazie al tradimento di Adinolfo di Mattia, assediarono il palazzo del pontefice e penetrarono fino alle stanze di Bonifacio VIII. Al papa, Giacomo "Sciarra" Colonna pose delle condizioni per aver salva la vita, ma questi le rifiutò. Secondo la leggenda, vi fu anche uno schiaffo del Colonna al papa, ma gli storici sono oggi propensi a ritenere che il pontefice non fu colpito, e che lo schiaffo fu solo morale.
Bonifacio VIII restò ostaggio degli invasori, che intanto presero a saccheggiare tutti i beni del palazzo e della cattedrale di Anagni, finché la popolazione non insorse, temendo ritorsioni del mondo cristiano per aver lasciato uccidere un papa dentro le proprie mura, e lo liberò. Si narra che l'orgoglioso papa Bonifacio VIII, che aveva accumulato ricchezze e potere, che aveva sfidato il Regno più potente d'Europa, rimasto senza beni, elargì agli assalitori assoluzioni in cambio di pane e vino.
Dopo l'episodio, Bonifacio VIII fuggì da Anagni a Roma. Si narra però che neanche lì si sentisse al sicuro, consapevole di avere tanti nemici. Spaventato, e forse ancora umiliato dall'episodio dello schiaffo (l'umiliazione di essere stato catturato dai nemici), morì nella notte tra l'11 e il 12 ottobre del 1303.

Per capire l'impatto che l'episodio dello schiaffo ebbe sul mondo cristiano, basti pensare che questo affronto violento e aperto del re di Francia al papa precedette di soli sei anni lo spostamento della sede papale ad Avignone, quindi una delle più profonde crisi del potere papale.
Per comprendere poi quale impatto emotivo ebbe sui cristiani d'Europa, ricordiamo che Dante cita l'episodio nella Commedia, quando nel XX canto del Purgatorio Ugo Capeto, antenato dei re francesi ("radice de la mala pianta") dice: "veggio in Alagna intrar lo fiordaliso, / e nel vicario suo Cristo esser catto. / Veggiolo un'altra volta esser deriso; / veggio rinovellar l'aceto e 'l fiele, / e tra vivi ladroni esser anciso. / Veggio il novo Pilato sì crudele, / che ciò nol sazia, ma sanza decreto / portar nel Tempio le cupide vele". Nel canto dantesco, Filippo il Bello è un nuovo Pilato, che nella città di Anagni (Alagna) cattura e umilia Cristo (nella persona del suo vicario, Bonifacio VIII) tra i ladroni (Guglielmo di Nogaret e Sciarra Colonna).

Per chi volesse approfondire questo episodio, che oltre ad essere fondamentale è importante per capire gli interessi economici e politici di chi governava (e governa) la Chiesa, consiglio il libro Lo schiaffo di Anagni - La storia, i luoghi, le leggende di Lorenzo Proscio. Questo libro ha il merito di illustrare con cura la figura di Bonifacio VIII, i suoi interessi economici e le sue ambizioni, e di incastonarle in un evento che, sebbene abbia coinvolto un papa, di religioso ha ben poco.
Vi consiglio anche una visita alla città di Anagni, alla bellissima cattedrale ed al palazzo di Bonifacio VIII.

Francesco Abate

martedì 9 settembre 2025

PARLIAMO DI EUDEMONIA: DANTE, LA VOCE DELLA RAGIONE

Assegnato come guida a Francesco, Dante compare fin dall'inizio della ricerca, diventando per lui un amico prezioso e spesso un'ancora di salvezza.
Nell'allegoria del romanzo, Dante rappresenta la Ragione, quella luce in grado di illuminare anche il sentiero più scuro e impervio.
Ho scelto questo nome per la personificazione della Ragione per celebrare colui che ha saputo sfruttare appieno la potenza dell'allegoria, quel Sommo Poeta che con versi immortali e immagini cariche di fascino ha saputo condensare nella Commedia tutte le proprie idee ed il sapere del suo tempo.
Dante è la Ragione, analizza ogni situazione sfruttando la sua logica e la sua istruzione, giungendo spesso alla comprensione della verità. Spesso, però, non sempre, perché usare la fredda ragione non sempre porta alla risposta giusta; la ragione a volte sbaglia, perché non è supportata dall'onniscienza, e soffre i limiti imposti dai condizionamenti dell'ambiente in cui è stata coltivata. Per questa ragione Dante, pur essendo una persona molto razionale, non mette in discussione l'autorità del re, nonostante sia consapevole dell'inadeguatezza umana e politica di re Matteo
Dante incontra e si innamora di Beatrice (non poteva essere diversamente!), perché la ragione subisce il fascino della Teologia, di quella fede travestita da sapere razionale che cerca di mutare in scienza la superstizione. Nel tratto di cammino che percorrono insieme, il loro amore rivela la vera natura di entrambi, soprattutto quando la ricerca di Dio arriva alla sua conclusione.
L'atteggiamento di Dante nei confronti delle cose che sfuggono alla sua comprensione è allo stesso tempo umano e allegorico. Di fronte alle scoperte che non può spiegare coi propri mezzi intellettuali, Dante dapprima sviluppa una sorta di resistenza a oltranza, chiudendosi a riccio nei confronti della novità, salvo poi riprendere il controllo di sé e acquisire la verità. Non mancano i casi in cui Francesco sceglie di non ascoltarlo e di agire impulsivamente: spesso finisce per pentirsene, ma non sempre.
In ogni ricerca spirituale l'uso della ragione è importante, perché muovendosi trascinati dall'impulsività e dall'irrazionalità si finisce persi in qualche illusione o distrutti da qualche mostro. A spiegare questo serve la figura di Dante, quella voce rassicurante e ferma che accompagna Francesco per tutto il meraviglioso viaggio che percorre verso Eudemonìa.


Vi invito a seguire il blog e le mie pagine social (FacebookMeWeInstagram) per tutti gli aggiornamenti riguardo questo romanzo.
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Francesco Abate

venerdì 29 agosto 2025

LA POESIA "MAMMA" VINCITRICE DEL CONCORSO "VOGLIO DIRTI GRAZIE!"

 

Con grande gioia vi annuncio che la mia poesia Mamma si è classificata al 1° posto nella sezione Poesia-Mamma del concorso "Voglio dirti grazie!".
Ho partecipato con entusiasmo a questo concorso, di cui in questo periodo dominato da discorsi d'odio c'è un gran bisogno, e per questo sono felicissimo del premio che mi è stato conferito.
Ringrazio di cuore il presidente del Centro Culturale Studi Storici "Il Saggio", cav. Giuseppe Barra, la responsabile del concorso e curatrice dell'antologia Voglio dirti grazie, Luisa Cantalupo, e la giuria che ha ritenuto la mia poesia degna del primo posto. 

Vista la natura del concorso, voglio concludere questo post con un pensiero sulla gratitudine.
Troppo spesso percepiamo la gratitudine come una debolezza, così come la società ci induce a fare con qualsiasi manifestazione di sentimenti incompatibili con la competizione, eppure esprimere questo sentimento è importante, perché per una ragione o per un'altra le persone possono sparire dalla nostra vita, e la gratitudine non espressa finire per diventare rimpianto.
Più in generale, dobbiamo sovvertire questa cultura che esalta i sentimenti negativi quale odio, rancore, invidia, e il linguaggio che li esprime, per associare la vergogna a quelli positivi quale amore e, appunto, gratitudine.
Il mondo oggi gira al contrario, solo cambiando il nostro modo di essere possiamo renderlo un posto magnifico per tutti gli esseri umani.

Grazie.

Francesco Abate

sabato 23 agosto 2025

IL LORO GRIDO E' LA MIA VOCE - POESIE DA GAZA

 

Siamo purtroppo abituati alle immagini delle case rase al suolo nella Striscia di Gaza, così come ci stiamo abituando alle notizie dei gazawi uccisi mentre sono in fila per accaparrarsi un po' di cibo, alle foto dei bambini ridotti pelle e ossa, alle aggressioni dei coloni in Cisgiordania. Dal 7 ottobre 2023 Israele ha accelerato l'esecuzione del genocidio dei palestinesi, e nel silenzio di chi ci rappresenta ci stiamo abituando all'orrore.
Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza è una raccolta di poesie scritte da poeti palestinesi impegnati a sopravvivere al genocidio nella Striscia di Gaza. Due di loro in realtà hanno già perso la vita: Heba Abu Nada è stata uccisa nell'ottobre del 2023, Refaat Alareer due mesi dopo.
La raccolta ha il merito di raccogliere fondi per le attività di assistenza sanitaria a Gaza di Emergency, ma merita di essere letta soprattutto per il suo contenuto.
A scrivere le poesie di questo libro sono persone che hanno perso la casa, che soffrono la fame, che ogni giorno rischiano la vita e vedono i propri cari falciati inesorabilmente dalla Stella di David sporca del loro sangue. Nelle poesie però non si trova solo dolore, ma è sempre presente il senso di rabbia di chi non chiede altro che una casa e un'esistenza normale, ricevendo in cambio bombe e colpi di cecchini. Con le sue poesie questo libro ci ricorda che i gazawi non sono alieni, o una specie animale particolare, sono esseri umani che amano, odiano, sognano e fanno progetti per il futuro, futuro che Israele e l'Occidente hanno deciso di distruggergli. 
Già dal titolo, però, l'opera ci dice che c'è anche altro. Nei poeti non muore del tutto la speranza, rappresentata dal grido degli studenti che manifestavano nelle università occidentali; ridotti al silenzio, i palestinesi hanno affidato alle nostre gole la loro richiesta di giustizia. Le nostre voci purtroppo si stanno affievolendo, perché siamo anestetizzati e non sentiamo il loro dolore in tutta la sua potenza, cerchiamo lo svago ed evitiamo la lettura di testi politici e di protesta, però Marwan Makhoul nei suoi Versi senza casa ci dice che non è possibile lo svago mentre c'è un massacro:
Per scrivere una poesia non politica,
devo ascoltare gli uccelli,
e per sentire gli uccelli
bisogna far tacere gli aerei da caccia.
La poesia è qualcosa che le bombe non possono distruggere, che si alza sopra le macerie e vola in giro per il mondo, seminando nel cuore dei lettori i sentimenti e le idee di quelle menti e quei cuori che il genocida israeliano sta tentando di annichilire. Leggere Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza è un modo per empatizzare con chi vive un'esperienza così lontana dalla nostra vita, per assimilare la sua indignazione e la sua voglia di ribellarsi. Queste poesie non servono solo a umanizzare le vittime, sono necessarie a darci la spinta per alzarci in piedi ed opporci alla barbarie in cui sta affogando il nostro mondo sedicente civile.

Francesco Abate

sabato 16 agosto 2025

APPENDICE (CANTO DEI DANNATI / MADRE TERRA PIANGE I SUOI FIGLI SCELLERATI)

 

Inferno, dopo le due sezioni principali, si chiude con un'appendice che contiene due poesie: Canto dei dannati e Madre Terra piange i suoi figli scellerati.
La prima di queste due poesie è un canto corale di tutti i dannati che abitano la Terra, che guardano tutto quello che non possono avere, tutto il bello del mondo che nella loro vita diventa lutto e sangue. I dannati sono consapevoli che:
Non cambiano le stagioni
nel concerto di esplosioni:
scorre scura come il sangue
la vita dei dannati.
Nella seconda poesia è la Terra a parlare, una madre sconsolata e affranta, che guarda tutte le belle cose che aveva dato a noi uomini, bellezze che siamo stati capaci di distruggere e gettare via. In questo componimento l'umanità è ormai estinta, perciò la Terra piange:
Nessun occhio può più riempirsi
della bellezza che mi vestiva
e nessuna mano può più addobbarmi
per la mia eterna festa.
Sterminandoci, e sporcando di sangue ogni cosa, stiamo trasformando i meravigliosi panorami del nostro pianeta in cornici da immagini funerarie, e distruggendoci ci stiamo privando della possibilità di creare bellezza attraverso l'arte, cosa che siamo capaci di fare (anche se spesso lo dimentichiamo).


Vi ricordo che potete acquistare Inferno in tutte le librerie e in tutti i collegamenti che trovate in questa pagina. Trovate tutti i miei libri presso la libreria Copperfield Bookshop di Battipaglia.
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Francesco Abate

domenica 10 agosto 2025

"SHANTARAM" DI GREGORY DAVID ROBERTS

 

Shantaram è un romanzo pubblicato nel 2003 dallo scrittore australiano Gregory David Roberts, opera che ha venduto più di sei milioni di copie in tutto il mondo.
Il romanzo, dichiarato autobiografico dall'autore, racconta le vicende di Lin, un uomo evaso dal carcere in Australia e fuggito a Bombay. Lin comincia a guadagnarsi da vivere con piccoli espedienti illegali, finendo per andare a vivere in uno slum (una baraccopoli), nel quale ritrova serenità grazie alla cura degli ammalati e scopre la solidarietà che unisce tra loro i poveri abitanti. Col passare del tempo, e per via di circostanze che non rivelo per non anticiparvi la trama, Lin finisce per perdersi di nuovo, fino a ritrovarsi prima in carcere e poi addirittura in guerra.
Shantaram ha certo il merito di avere una trama avvincente, che si sviluppa attraverso numerosi colpi di scena e tiene incollato il lettore fino all'ultima pagina. Anche la narrazione, diretta e a tratti molto cruda, appassiona e non fa sentire il peso delle quasi milleduecento pagine.
Non bisogna credere però che questo sia solo un romanzo di intrattenimento ricco di azione. L'autore mostra quelle che presenta come sue vicende personali per mostrarci il mondo di cui è innamorato, la Bombay divisa tra il lusso sfarzoso e baraccopoli luride, tra vizi e spiritualità, e per sviluppare delle riflessioni su questioni molto delicate. La storia di Lin è infatti la storia di un uomo segnato dalla colpa, che ha perso gli affetti per problemi di droga, e questo tema della colpa è forte in quasi tutte le pagine del romanzo, un macigno che impedisce al protagonista di liberarsi dal mondo criminale che come una sirena non smette di chiamarlo. Il romanzo ci offre anche l'occasione per riflettere sul fallimento dei sistemi carcerari di quasi tutto il mondo, dove il detenuto è ingabbiato e ridotto peggio di una bestia, umiliato e incattivito, in barba a qualsiasi discorso sul recupero e il reinserimento in società. Nelle pagine di Shantaram è poi mostrata tutta la contraddizione del capitalismo, con gli slum a pochi metri dai grattacieli lussuosi, e tutta la corruzione che il sistema genera, visibile attraverso i poliziotti che si lasciano continuamente corrompere dai grandi delinquenti della città.
Shantaram è un ottimo romanzo, piacevole da leggere e non banale nei contenuti; a convincermi poco è il fatto che sia presentato come autobiografia. Nelle pagine del romanzo troviamo questo Lin, un uomo scaltro e forte, capace tanto di combattere col coltello quanto di curare i poveri malati dello slum, leale con gli amici ma capace di spietatezza coi nemici, che piace alle donne ma ha difficoltà a trovare il vero amore. Lin è così simile all'eroe in stile hollywoodiano da non sembrare vero; non mi stupisce che Johnny Depp volesse girare il film tratto da questo romanzo (impresa poi fallita per problemi organizzativi), perché Lin a tratti mi ha ricordato tanto George Jung di Blow, un delinquente bello e buono che vorrebbe redimersi ma non può. Francamente, senza nulla togliere alla bellezza del romanzo, sull'attendibilità dell'autobiografia mi sento di esprimere qualche riserva.
Un altro limite del romanzo è la visione "affascinante" che propone del mondo della mafia. Lin si lega molto al boss Khaderbai, che per lui sostituisce la figura paterna. Sebbene nel corso del romanzo vengano fuori i grossi limiti morali del capocosca, la sua figura resta sempre più vicina a quella di un saggio santone che non a quella di uno spietato assassino. Anche molti compagni di cosca sono presentati sotto una luce positiva: leali e forti, senza paura e spinti da un ideale puro. Anche in questo caso ho sentito forte l'influenza hollywoodiana, soprattutto dei gangster movies, e come nel caso di questo genere di film Shantaram rischia di normalizzare un fenomeno diffuso e grave, che ogni giorno costa la vita a migliaia di persone in tutto il mondo.

Francesco Abate

martedì 29 luglio 2025

PARLIAMO DI EUDEMONIA: RE MATTEO E LA MISSIONE

 

Eudemonìa è un libro che racconta di una ricerca. Ad avviare questo lungo percorso che attraversa spazi terreni e ultraterreni è una richiesta particolare, fatta niente poco di meno che da un re.
A spingere Francesco ad intraprendere il cammino che lo condurrà fino ai confini dell'universo è l'ordine impartito da re Matteo: trovare Dio. Francesco in Dio non crede, infatti giudica subito assurda la richiesta, ed anche nel sovrano non c'è traccia di fede, lui stesso spiega così la propria richiesta: "Questo regno è una polveriera, i sudditi mi odiano e mi incolpano di tutti i loro problemi. Nascono sempre più gruppi sovversivi e hanno sempre più presa sul popolo, se continua così ci sarà una ribellione e potrei rimetterci il trono. Ho bisogno di rinsaldare il mio potere sulla gente e non può esserci modo migliore di una legittimazione divina. Quando la gente vedrà Dio al mio fianco, non oserà più ribellarsi e mi adorerà come un tempo si adoravano i Faraoni".
Re Matteo vuole Dio al suo fianco solo per consolidare il proprio potere, mostrandosi cinico e per niente interessato al reale benessere del proprio popolo; non chiede che sia trovato Dio per avere una guida suprema capace di portare prosperità al regno, vuole solo consolidare la propria posizione di potere. Il sovrano nell'aspetto e nei ragionamenti si mostra maleducato, arrogante e interessato solo all'apparenza.
Il Regno è la proiezione perfetta dell'animo di re Matteo: infestato dal tanfo di rifiuti bruciati e devastato dall'incuria, muta radicalmente in prossimità del palazzo reale, dove dominano la frescura degli alberi e il profumo di bosco.
Come tutti i governanti mediocri e interessati solo all'affermazione del proprio ego, re Matteo usa la paura per governare. Nell'affidare la missione a Francesco, non cerca di motivarlo o di incoraggiarlo, si limita a dargli un ultimatum: "Sarà meglio per te che esista e venga qui con te, altrimenti cella e forca! Chiaro?"
Come buona parte dei personaggi di Eudemonìa, re Matteo richiama contemporaneamente un personaggio reale ed un concetto. Nel delinearne carattere e comportamenti, mi sono ispirato ad un famoso (purtroppo) uomo politico italiano suo omonimo, personaggio mediocre che fonda il proprio consenso sulla rabbia e la paura, usando di frequente un linguaggio aggressivo che incita all'odio. Re Matteo non è però solo la caricatura di un uomo politico italiano, rappresenta l'idea di governo che osserviamo più di frequente nelle figure politiche mondiali, soprattutto in tempi più recenti; un'idea secondo cui chi guida una nazione deve comportarsi da padre-padrone e lavorare solo per l'accrescimento ed il consolidamento del proprio potere. Di re Matteo nel nostro mondo, purtroppo, ce ne sono tanti.
L'assurda missione affidata a Francesco, nel corso dello sviluppo del romanzo, diventa anche una lezione: nella ricerca di sé stessi, della propria strada e della propria verità, la cosa più importante non è il punto di partenza, perché chi cerca con attenzione finisce comunque per trovare qualcosa, e spesso ciò che si trova è meglio di quello che si credeva di voler trovare.


Vi invito a seguire il blog e le mie pagine social (FacebookMeWeInstagram) per tutti gli aggiornamenti riguardo questo romanzo.
Vi ricordo che potete acquistare il romanzo in tutte le librerie fisiche e virtuali (link in questa pagina). Per chi è di Battipaglia, lo trovate subito disponibile presso Copperflield Bookshop in via Italia, 43.

Francesco Abate

lunedì 21 luglio 2025

LA SELVA OSCURA

 

La selva oscura nella Divina Commedia è la prima immagine polisemica, cioè la prima che ha più significati.
Di questa selva il poeta non ci dà una descrizione precisa, si limita a definirla selvaggia, aspra e forte, tanto che solo il ricordo basta a rinnovare lo spavento che incute, poco meno amara della morte. A differenza della selva dei suicidi, in cui Dante fa una descrizione minuziosa dell'ambientazione ("Non fronda verde, ma di color fosco; / non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti; / non pomi v'eran, ma stecchi con tòsco."), della selva oscura non ci dice niente di concreto, perché non ha l'esigenza di creare lo sfondo a eventi o dialoghi, vuole semplicemente lanciare un messaggio.
La selva è ai piedi di un colle alle cui spalle c'è il sole, quindi fuori dalla sua oscurità c'è la gioia, ma l'uscita è impedita dalle tre fiere, il cui significato descriverò in un altro post. Essa rappresenta quindi lo smarrimento dell'anima vissuto da Dante intorno ai trentacinque anni; uno smarrimento che non sa ben dire quando è iniziato, essendoci caduto che era "pieno di sonno", cioè perso e annebbiato. La critica tende a collocare l'inizio dello smarrimento del sommo poeta, quindi l'inizio del suo stato di torpore morale, nell'anno della morte di Beatrice, la donna che lo salverà poi attraverso il viaggio nei tre regni dell'oltretomba.
Lo smarrimento rappresentato dalla selva non è però solo quello di Dante, perché non dobbiamo dimenticare che la Divina Commedia è un poema universale, cioè abbraccia tutta l'umanità. Il viaggio dantesco comincia nel 1300, anno che è il culmine della vita del poeta (era nel mezzo, quindi iniziava la fase discendente), ma lo è anche per la storia della Chiesa, essendo l'anno del primo giubileo (pochi anni dopo ci sarà lo Schiaffo di Anagni), e per la storia di Firenze, che con la contesa di Calendimaggio vede acuirsi le divisioni che sfoceranno nello scontro tra Bianchi e Neri. Nella selva oscura non è perso solo Dante, lo sono anche la Chiesa e Firenze, che hanno smarrito la retta via per incamminarsi verso un futuro di corruzione e sofferenze. 
Nel canto XX dell'Inferno Virgilio accenna al plenilunio, che porta giovamento a Dante mentre è smarrito nella selva oscura ("e già ier notte fu luna tonda: / ben ten de' ricordar, ché non ti nocque / alcuna volta per la selva fonda"), accennando alle false consolazioni a cui l'anima smarrita si aggrappa (lettura giustificata dal fatto che il richiamo alla luna è fatto nella bolgia dei maghi e degli indovini).

Francesco Abate

sabato 19 luglio 2025

MENZIONE D'ONORE PER "INFERNO" A PONTREMOLI

 

Con grande gioia vi annuncio che Inferno è stato premiato con la Menzione d'Onore nella categoria Poesia Edita al Premio Internazionale di Arte Letteraria "La Via dei Libri" Città di Pontremoli. 
Ringrazio gli organizzatori per lo spazio e la bella serata, fatta di letture e scambi, perché la cultura altro non è che scambio e confronto, per questo arricchisce l'anima. Ringrazio anche la giuria per aver letto le mie poesie e averle giudicate degne di questo palcoscenico.
Per me è stata anche l'occasione di visitare una città che ospita millenni di storia ed è completamente immersa nella bellezza, che consiglio vivamente di visitare.

Francesco Abate

lunedì 14 luglio 2025

STATI UNITI

 

Ci sono le stelle e ci sono le strisce:
le prime cantano in alto con gli angeli,
le seconde scendono la scala per l'inferno.
Con questi versi si chiude Stati Uniti, l'ultima poesia contenuta nella sezione L'Inferno dei popoli, all'interno della raccolta Inferno.
In questa poesia, come è facile dedurre dai versi che ho riportato, canto le profonde diseguaglianze che vivono i cittadini statunitensi: mentre pochi sono così ricchi da permettersi i viaggi nello spazio, molti altri faticano a trovare da mangiare e non hanno accesso a cure mediche adeguate.
Gli Stati Uniti, che per decenni si sono proposti come culla della libertà, altro non sono che una delle manifestazioni più estreme del capitalismo, e man mano che fingevano di esportare democrazia e cultura hanno invece infettato il mondo intero con il loro morbo. Ecco spiegato come alle ultime elezioni le classi povere hanno scelto di essere guidate da un miliardario, convinte che ad affamarle fossero i loro compagni di sventura, non colui che con pochi amici divora risorse sufficienti a nutrire l'intero paese. Ed ecco anche come si spiega che negli Stati Uniti (ma non solo, purtroppo) un pluripregiudicato, evasore e stupratore, si permetta di giudicare e privare della libertà dei poveri disgraziati colpevoli solo di aver cercato una vita migliore nel suo schifoso paese.


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Francesco Abate

venerdì 11 luglio 2025

"EVER AFTER" E "TRIPTYCH OF THE AGES" DI CLAUDIA ROGGE E DORIAN X

 


All'interno della Pinacoteca Provinciale di Salerno, tra le tante opere esposte, ce ne sono due che mi hanno colpito particolarmente e di cui vi voglio parlare.

La prima è Inferno di Claudia Rogge, che fa parte della più ampia serie Ever After. Con Ever After, la Rogge ha voluto celebrare Dante Alighieri proponendo la propria visione dei regni dell'aldilà. L'opera esposta a Salerno raffigura l'Inferno, rappresentato da un gran numero di figure umane sporche di fango e bloccate sul fondo di una grotta oscura, e alcune di queste anime in pena vanamente tese verso l'alto. Si tratta di una raffigurazione potente, emozionante, che rende alla perfezione l'immagine di un'anima sporcata e schiacciata dal peccato che guarda con disperazione a una salvezza che non potrà mai raggiungere.
Per la realizzazione di Ever After Claudia Rogge ha realizzato decine di fotografie a ciascuno dei soggetti che fanno parte dell'opera, assemblando poi il tutto con un lavoro minuzioso di elaborazione digitale.

L'altra opera che colpisce per il forte impatto estetico e per il significato è il Triptych of the Ages dell'artista milanese Dorian X. Si tratta di tre acrilici su tela che a prima vista colpiscono per l'abbondanza dei colori e la varietà delle immagini, ma che visti con attenzione rivelano una critica molto potente alla società odierna ed alla sua deriva. Il dipinto centrale raffigura un'età dell'oro in cui uomini nudi, per niente imbarazzati dalla propria nudità, vivono nella concordia e nell'abbondanza. Alla sua sinistra c'è l'età della Nuova Creazione, in cui spicca una divinità il cui volto è una carta di credito su cui c'è scritto "In gold we trust", che quindi eleva la ricchezza a nuovo Dio; sotto la nuova divinità vediamo un laboratorio nel quale vengono riprogrammati i nuovi esseri umani - tenuti prigionieri in una botola coperta di teschi -, ai quali vengono collegate sulle teste delle flebo di dollari. Alla destra c'è l'Età della Guerra, diretta e prevedibile conseguenza della Nuova Creazione, dove vediamo una pioggia di missili abbattersi su un'umanità tormentata dai soldati.
Il trittico proposto da Dorian X comunica un messaggio forte che oggi dovrebbe riecheggiarci ancora più forte nella mente: scegliendo la ricchezza come valore supremo della società, si apre la strada alla guerra ed alla soppressione delle libertà.

Francesco Abate

domenica 6 luglio 2025

PARLIAMO DI EUDEMONIA: FRANCESCO, IL PROTAGONISTA

 

Francesco è il protagonista del mio ultimo romanzo, Eudemonìa.
Il fatto che il protagonista del romanzo si chiami come me non è affatto una coincidenza, infatti questo romanzo mi piace considerarlo una mia autobiografia interiore, cioè descrive un percorso davvero compiuto dal mio essere e dal mio pensiero. Il nome Francesco inoltre si prestava alla perfezione perché molto comune, e il protagonista di questo romanzo è una persona come ce ne sono miliardi, appunto un uomo qualunque.
Francesco è un giovane uomo insoddisfatto della propria vita, consapevole della propria insoddisfazione ma incapace di determinarne le cause, preda di un male oscuro che lo tiene immobilizzato in un lento appassire. Quando re Matteo gli affida una missione in apparenza impossibile, trovare Dio, si trova costretto a muoversi, e questo movimento innesca la serie di eventi che lo porterà a distruggersi e ricostruirsi. Nella missione lui non crede, perché non crede in Dio, e infatti questa passa presto in secondo piano, ma il cammino che ha iniziato deve pur portare da qualche parte e lui, grazie anche all'aiuto prezioso di Dante, riesce a raccogliere i frutti di quei dubbi che per anni lo hanno paralizzato. Francesco riesce in un'impresa difficile, diventa tabula rasa, cioè distrugge tutto il proprio universo interiore, così da avere la possibilità di ricostruirsi da zero.
Francesco è quello che noi definiremmo un buono, sempre pronto a schierarsi dalla parte dei più deboli, eppure durante il viaggio impara che non sempre il bene è quello che appare tale, e lo stesso vale per il male, così crollano le sue poche certezze, ma questa distruzione invece di ucciderlo gli dà la forza per ricominciare daccapo.
Francesco in Eudemonìa è l'uomo qualunque che, intrappolato nella propria infelicità, si impegna in una lunga e radicale riflessione interiore che lo porta alla scoperta delle verità della vita, fino a fargli trovare la propria Eudemonìa, la vera felicità.

Francesco Abate

venerdì 27 giugno 2025

"DOMINGO IL FAVOLOSO" DI GIOVANNI ARPINO

Domingo il favoloso è un romanzo pubblicato dallo scrittore Giovanni Arpino, prima a puntate tra il 1973 e il 1974 sulla Domenica del Corriere, poi in volume nel 1975.
Questo romanzo è una pennellata di realismo magico all'italiana, un'irruzione della magia e del fantastico nel cinismo e nella disillusione dell'Italia anni Settanta.
Il protagonista, Domingo, è un truffatore che vive di espedienti; duro, cinico, privo di tenerezze perfino nei confronti dell'eterna fidanzata. Sebbene la sua furbizia e il suo cinismo ne facciano un vincente nel mondo in cui vive, Domingo sente però la mancanza di qualcosa, e d'improvviso sente il bisogno di rapire Arianna, una giovane zingara quattordicenne malata di cuore. A spingere Domingo non sono né amore né libidine, lui sente il bisogno di avere Arianna con sé e prendersene cura, ma non sa bene perché. La ragazza però si rivela la svolta decisiva per la vita dell'uomo, che di colpo scopre la magia nascosta dentro le fessure dell'anima, quella magia che permette di vedere il fantastico anche dove sembra esserci solo un piatto grigiume.
Questo è Domingo il favoloso: la ricerca di un poco di magia, di una scintilla colorata nel mondo grigio del guadagno e del consumo. La magia può essere a pochi passi da noi, Domingo infatti la trova nella sua Torino (che qualcosa di magico sembra trasudare sin dalle prime pagine del romanzo), e cambia radicalmente il nostro modo di vedere e vivere il mondo, stravolge le nostre priorità e la nostra scala di valori, lascia un segno indelebile su quello che siamo.
Forse questo romanzo vuole essere un barlume di speranza, un sussulto dell'autore nel disperato tentativo di non arrendersi alla società del "produci consuma crepa", del vivere senza prospettive. L'autore sembra dirci: "Guardatevi bene intorno, e non esitate a seguire l'istinto, perché qualcosa che va al di là della piatta normalità può essere nascosto a pochi passi da voi e non dovete fare altro che afferrarlo". Un auspicio che oggi dovrebbe risuonare ancora più forte.

Francesco Abate

venerdì 20 giugno 2025

DUE RECENSIONI DEL MIO ULTIMO ROMANZO

 

Voglio segnalarmi due bellissime recensioni del mio romanzo scritte negli ultimi giorni.
La prima è stata scritta da Savina Trapani su Into the Read, la seconda da Milena Bonvissuto su L'Epoca Culturale e segue un'intervista il cui link vi renderò disponibile nei prossimi giorni.

Buona lettura!

Francesco Abate